In tema di violenze nel mondo dello spettacolo sembrano ormai esserci due mondi contrapposti, che viaggiano a velocità differenti. Pochi giorni fa in Francia l’attrice Adèle Haenel – protagonista sul grande schermo di Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma, e dell’ultima produzione teatrale di Gisèle Vienne L’Étang – ha dichiarato di volersi ritirare dal cinema «come atto politico». Haenel, che recentemente ha sostenuto la lotta contro la riforma delle pensioni recandosi al picchetto dei lavoratori della raffineria TotalEnergies a Gonfreville-l’Orcher in Normandia, nella lunga lettera scritta per rivendicare la scelta si è scagliata contro l’industria cinematografica francese, rea di difendere tra gli altri «gli stupratori Polanski e Depardieu».

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Amleta, contro la disparità di genere nello spettacoloE VICINISSIMO a Polanski è Luca Barbareschi, «la Repubblica» ha pubblicato una sua lunga intervista che ha tenuto banco ieri sera durante la premiazione dei David di Donatello. In molti hanno preso la parola per contestarla, chi in maniera più dura come Jasmine Trinca e Giulia Steigerwalt – «Vergognoso che certi uomini parlino per le donne», ha affermato la prima, «È un momento di grandissima bassezza» la seconda – chi facendo leva sull’air du temps come Mario Martone, «Il mondo cambia, ognuno si posiziona come vuole, al di qua o al di là del guado». Dal palco è stata Barbara Ronchi, vincitrice del David per la miglior attrice, a dire «Amleta ha il mio totale sostegno».
Il campo innocente
Per noi la lotta rimane quella per un reddito universale che possa rendere conto della precarizzazione che il lavoro ha subito
Certo è che il discorso patriarcale di Barbareschi, che sminuisce e legittima le violenze contro le attrici – denuncerebbero le molestie, secondo lui, per farsi pubblicità – puntando poi il dito contro Amleta, l’associazione che si occupa di tutelarle legalmente, gli ha garantito un’enorme visibilità. E non è un caso che tutto questo accada proprio ora secondo uno dei membri del collettivo di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo Il campo innocente, che ha dato vita ieri ad una protesta di fronte all’Eliseo, il teatro in Via Nazionale a Roma di proprietà di Barbareschi – ormai chiuso, nonostante gli ingenti fondi pubblici ricevuti negli anni, da quando è scoppiata la pandemia.

«L’intervista è un’operazione politica, sembra quasi un’autocandidatura per qualcuna delle cariche scoperte in ambito culturale, cavalcando le battaglie di questo governo di destra. Chi si presta a dare spazio a queste affermazioni pensa che ci sia un clima che le approva, senza alcuna reazione da parte dell’opinione pubblica, abbiamo voluto dimostrare che non è così. Ma la triste verità è che, al contrario della retorica che si fa sul MeToo, in Italia chi abusa continua a dirigere spettacoli» afferma il collettivo. D’altronde riportare l’attenzione sull’Eliseo è una giusta mossa per mettere in luce le gravissime mancanze nella gestione del teatro. «Innanzitutto i tanti lavoratori e lavoratrici rimasti a casa, quelli che hanno perso il lavoro perché precari e i numerosi che aspettano ancora di essere pagati. E tutto questo nonostante gli 8 milioni di euro di soldi pubblici ricevuti dall’Eliseo in deroga ai parametri del Fondo unico per lo spettacolo. Per noi la lotta rimane quella per un reddito universale che possa rendere conto della precarizzazione che il lavoro ha subito in tutti i campi, non solo quello dello spettacolo». Il gruppo ha scelto per questa prima azione – promettono infatti che è solo l’inizio di una risposta, che si svilupperà anche attraverso momenti di confronto pubblico – di denudarsi «per esporre i nostri corpi queer non conformi, laddove nell’intervista si fa riferimento a una omosessualità pentita, come se attraverso un percorso si potesse “guarire”. Noi invece ne siamo fieri e invitiamo all’autodifesa tutti e tutte quelle che subiscono forme di violenza e abuso».