Il Myanmar torna nelle pagine della peggior cronaca politica internazionale con due notizie che sembrano studiate apposta per arrivare in prima pagina, specie sui giornali in lingua inglese. Mentre dopo appena due settimane dall’ennesima condanna, la Nobel Aung San Suu Kyi – premier de facto del governo rovesciato il 1 febbraio 2021 da un golpe militare – è stata condannata ad altri tre anni di reclusione per presunta frode nelle ultime elezioni politiche, la “giustizia” birmana ha condannato a un anno di galera ciascuno l’ex ambasciatrice britannica a Yangon e suo marito per violazione delle leggi sull’immigrazione. Dopo aver servito nel 1990 per la prima volta in quella che allora era chiamata Birmania, ricorda la Bbc, l’ex diplomatica del Regno Unito Vicky Bowman era tornata a Yangon come ambasciatrice dal 2002 al 2006. Ora dirige – o meglio dirigeva – il Myanmar Center for Responsible Business (Mcrb), con sede a Yangon, che si è detto «scioccato» dalle sentenze. Vicky Bowman e suo marito Htein Lin, un ex prigioniero politico, sono stati arrestati la scorsa settimana nella loro casa di Yangon.

LA MAGISTRATURA birmana ha accusato Bowman di essere rimasta in una casa nello Stato Shan, anziché vivere all’indirizzo di Yangon dove si era originariamente registrata presso le autorità mentre suo marito non avrebbe denunciato il soggiorno della moglie nello Stato Shan. Come si comprende bene, un pretesto anche piuttosto debole. La loro udienza in tribunale era originariamente fissata per il 6 settembre e non è chiaro il motivo per cui è stata anticipata a ieri ma – sottolinea il quotidiano locale (clandestino) Irrawaddy – «il suo arresto è avvenuto dopo che la Gran Bretagna ha imposto ulteriori sanzioni a tre società collegate alla giunta, tra cui Sky One Construction Company, di cui Aung Pyae Sone, figlio del leader del regime Min Aung Hlaing, è ai vertici». Scelta confermata anche dalla Bbc secondo cui l’arresto della coppia è avvenuto dopo che Londra ha annunciato sanzioni contro le autorità militari birmane in coincidenza con il quinto anniversario dell’espulsione della minoranza rohingya dal Paese. Un pogrom che ha creato la più popolosa diaspora di quella comunità che ora vive rifugiata in Bangladesh e che conta circa un milione di persone mentre in Myanmar ne restano solo alcune centinaia di migliaia, in gran parte recluse in campi profughi che sono veri e propri ghetti-prigione.

NON CONTENTI di aver assestato un gancio alla corona di Sua Maestà colpendo sia pure un ex diplomatica, nello stesso giorno la magistratura birmana ha comminato una nuova pena ad Aung San Suu Kyi e non solo a lei. Una corte della capitale ha condannato infatti anche il presidente detenuto Win Myint e il ministro dell’Ufficio del governo dell’Unione Min Thu: tutti e tre con una pena di tre anni di carcere con lavori forzati per presunte frodi elettorali durante il voto del 2020, che aveva sancito una nuova vittoria della Lega nazionale per la democrazia. Fatto che è stato il movente dichiarato del golpe militare del febbraio seguente. Il dettaglio lo racconta un altro giornale birmano clandestino: il giudice del distretto di Zabuthiri (una township della capitale Naypyidaw) ha emesso la sentenza a porte chiuse – spiega MyanmarNow – nel Naypyidaw Detention Centre. I tre leader del governo civile estromesso e della Lega avrebbero violato la sezione 130a del codice penale «influenzando ingiustamente la Commissione elettorale». Com’è noto, dopo il golpe la giunta ha sostituito la Commissione elettorale, scoprendo 2mila voti doppi, trovati dopo un anno di indagini condotte dopo il golpe. Un altro pretesto fabbricato ad arte.

L’ULTIMO RAPPORTO di Ocha, reso noto sempre ieri, fa luce sulla «crisi politica, dei diritti umani e umanitaria senza precedenti che sta ponendo in grave rischio i civili, limitando l’accesso ai servizi vitali, tra cui salute e istruzione, e determinando una profonda insicurezza alimentare». Secondo l’Ufficio delle Nazioni unite per il Coordinamento degli affari umanitari, non solo l’emergenza umanitaria in Myanmar è ormai cronica ma «il conflitto continua a imperversare, causando livelli senza precedenti di sfollamenti, distruzione di proprietà e contaminazione da mine soprattutto nel Nordovest e nel Sudest del Paese, determinando gravi rischi per la protezione dei civili» mentre il reclutamento forzato, anche di bambini, viene sempre più segnalato e armi pesanti, bombardamenti aerei e fuoco d’artiglieria continuano a mietere vite. Quanto allo spazio operativo umanitario «è sempre più minacciato dai blocchi burocratici imposti dalle autorità». Secondo Ocha, si stima che 20mila proprietà civili, tra case, chiese, monasteri e scuole, siano state distrutte finora durante le ostilità, benché tali numeri siano difficili da verificare.