Il centrodestra dei bei tempi sembra esserci tutto. I forzisti come Malan e Gasparri. I fuggiaschi come Sacconi. Gli ex alfaniani come Quagliariello e Giovanardi. I leghisti come Centinaio. I Fratelli di sorella Giorgia come Rampelli. I fittiani come Bruni. Tutti schierati per annunciare che se il capo dello Stato firmerà la legge sulle unioni civili, periodo ipotetico della certezza, lanceranno il referendum abrogativo. A capitanarli Eugenia Roccella, già portavoce del primo e glorioso Family Day.

Solo che tanta compattezza è posticcia. I convenuti, si sa, sono particolarmente motivati ma lo stato maggiore forzista, ex Cavaliere incluso, è molto più tiepido, anche perché sa perfettamente che buona parte dei residui elettori non combatterebbero la guerra santa. Persino i vescovi bocciano sia il referendum che gli appelli di Salvini alla disobbedienza civile. Bisogna sì «resistere, resistere, resistere», scrive Avvenire, però non appaiono utili a tal fine «la prospettiva di una battaglia referendaria né quella di fare appello all’obiezione di coscienza». De profundis.

Il minacciato referendum, però, un risultato lo otterrà: eliminare anche le ultime e per la verità già inconsistenti possibilità di varare in questa legislatura la nuova legge sulle adozioni. Dopo il voto del Senato, Matteo Renzi le aveva promesse in tempi fulminei, addirittura prima delle elezioni del 5 giugno. In realtà sapeva già perfettamente che il prezzo della bella vittoria riportata con questa legge era il cedere ai catto-dem, infinitamente più determinati di quanto sia mai stata la minoranza interna di sinistra, le adozioni. Il referendum annunciato ieri è votato a certo fallimento. Solo se contemporaneamente fosse in campo il tema lacerante delle adozioni potrebbe prendere quota. Renzi non è tipo da fare errori simili.

Infatti, dagli studi di Porta a Porta, mentre si scalda in vista del confronto con Ferruccio De Bortoli sulla riforma istituzionale, frena alla grande: «Se la legge sulle adozioni si fosse potuta fare la avremmo già fatta. Vedremo se sarà possibile prima del 2018. Sinora i numeri in Parlamento non c’erano». E non ci saranno. Quella di Renzi è solo una formula diplomatica per ammettere che su questo fronte i catto-dem hanno vinto la partita. La sola a risentirsene è Michela Marzano che per la delusione, pur avendo votato alla Camera la legge sulle unioni civili «perché sarebbe stato un crimine non farlo», conferma le dimissioni dal gruppo del Pd per passare a quello misto.

Ma Renzi non si ferma qui. Il ragazzo, ormai lo sanno tutti, è un campione nel volgere a proprio tornaconto tutto. Così riesce a trasformare in titolo di merito persino l’aspetto più discutibile, e più discusso, della vicenda, l’unico che abbia davvero destato un po’ d’irritazione anche in Vaticano: la scelta di ricorrere alla fiducia anche alla Camera, dove non era affatto necessaria. «La fiducia – spiega – serve per andare più veloci in Parlamento, ma è anche un rischio, significa giocarsi la faccia del governo, perché se non passa si va a casa». Come abbia fatto Vespa a non mettersi a ridere torna a onore della sua provetta professionalità. Essendo la fiducia un atto di coraggio, il capo aggiunge di sfuggita che è pronto a metterla anche sulla prescrizione lunga, così come è prontissimo a incontrare Davigo e convinto che i magistrati possano «dire la loro su tutto». Almeno fino a dopo il referendum di ottobre nessuna tensione con le toghe deve oscurare il brillante risultato raggiunto mercoledì scorso.

Se può far passare per atto quasi eroico il voto più sicuro che ci sia, quello di fiducia, figurarsi quando si passa al coraggio di sfidare l’impopolarità: «Io ho giurato sulla Costituzione, non sul Vangelo. Se sei convinto che una cosa è giusta la fai, e se devi pagarne le conseguenze in termini elettorali le paghi». Chiacchiere. Renzi e il suo stato maggiore i conti li hanno fatti eccome. Sono convinti, probabilmente a ragion veduta, che le unioni porteranno più voti da sinistra di quanti se ne perderanno a destra.

L’ultima buona notizia, a coronare un campagna per palazzo Chigi vincente, arriva da Tito Boeri, presidente dell’Inps. La reversibilità inclusa nella legge un impatto sui conti ce l’avrà, certo. Però «sostenibile».