A neanche un mese dalla composizione del governo la delega per le politiche sulle droghe è stata data ad Alfredo Mantovano. Essendo note le sue posizioni, è forse più appropriato dire “antidroga”.
Una «buona notizia», ha commentato Luciano Squillaci, presidente della Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche, Fict. «Conosciamo e stimiamo Mantovano», ha dichiarato, ringraziando la viceministra delle politiche sociali Maria Teresa Bellucci per voler avviare «un’integrazione socio sanitaria che oramai non si poteva più attendere». Il problema della Fict, oltre al rincaro gas e luce, è «una politica nazionale che costruisca una concreta interlocuzione con il nostro mondo, troppo spesso dimenticato, che una volta per tutte entri in connessione con quelle che sono le reali criticità presenti nei territori. Occorre rimettere al centro del dibattito la persona e non la sostanza, perché finora al centro c’è sempre stata la sostanza. È ormai imprescindibile mettere al vertice di tutti gli interessi l’uomo (sic) e fare un ragionamento concreto sulla questione delle dipendenze e dei giovani senza cedere al facile compromesso della ‘normalizzazione’ dell’uso di sostanze».

Laureato nel 1981 in giurisprudenza alla Sapienza con una tesi su «Problemi di legittimità costituzionale della legge 22 maggio 1978 n. 194», Mantovano entra in magistratura due anni dopo e approda alla Camera nel 1996 entrando in Alleanza Nazionale. Da allora resterà legato al centrodestra come parlamentare o membro di governo fino al 2013 per tornare a fare il magistrato fino in Cassazione.

Nei giorni in cui si raccoglievano le firme per il referendum per la legalizzazione della cannabis, incurante del suo ruolo istituzionale, da giudice della Suprema corte Mantovano non fece mancare la sua opinione contraria tanto al referendum quanto alla minima modifica del Testo Unico sulle droghe 309/90 anticipando la totalità gli argomenti usati dal Presidente della Corte costituzionale Amato nella sua sentenza di inammissibilità. Di lì a poco, in qualità di presidente del Centro Studi Livatino avrebbe istituito un comitato per il NO al referendum presentando una memoria contraria in occasione della Camera di consiglio per l’ammissibilità del quesito.

A luglio scorso ha curato «Droga le ragioni del NO», una raccolta di interventi della destra catto-proibizionista col solito approccio: no a «leggi permissive» come negli Usa, i cui studi datati continuano a esser utilizzati per dimostrare danni irreversibili nel cervello, e «droga uguale morte. Insomma una nomina guadagnata sul campo.

La delega principale di Mantovano è all’Autorità per la sicurezza della Repubblica, un organo di direzione e indirizzo della Presidenza del Consiglio nell’ambito delle strutture d’intelligence. Sicuramente comporta un lavoro impegnativo e complesso, sarà quindi interessante vedere chi andrà – o resterà – a dirigere il Dipartimento per le politiche antidroga dove, in effetti, si concentra il “grosso” del lavoro anche di relazione con la società civile e distribuzione delle risorse.

La differenza tra i governi di centrosinistra e centrodestra in materia di droghe è che se i primi non hanno mai fatto nulla – di buono o di cattivo – i secondi si sono sempre distinti per una serie di piccole e grandi modifiche che dalla Fini-Giovanardi in poi non hanno posto né le sostanze né le persone al centro delle loro politiche ma una visione del mondo per cui è lo Stato che decide quali siano i comportamenti sicuri e sani; uno Stato che, indifferente al radicamento socio-culturale di certi fenomeni, ritiene che il diritto penale sia lo strumento più appropriato per governarli. Il decreto «anti-rave» non è stato che un’anticipazione, il “bello” deve ancora venire.