Il Maggio francese e le sue diramazioni europee; le guerre del Bangladesh, del Biafra e del Vietnam; l’invasione sovietica di Praga. L’elenco degli avvenimenti epocali che fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, per una straordinaria coincidenza storica hanno interessato numerose regioni del pianeta, potrebbe continuare a lungo.

MA C’È ALMENO UN ALTRO protagonista dell’epoca che merita di essere ricordato, gli Indiani del Nordamerica, che in quegli anni sono travagliati da gravi problemi sociali: povertà, disoccupazione, un’alta percentuale di mortalità infantile e suicidi. La politica varata negli anni Cinquanta sotto la presidenza di Eisenhower (la cosiddetta Indian termination policy) si propone di cessare le relazioni fra le tribù e il governo federale per assimilare gli Indiani come individui.
A tutto questo cerca di trovare una soluzione Vine Deloria jr., un giovane studioso lakota, che nell’ottobre del 1969 pubblica il libro Custer Died for Your Sins (Custer è morto per i vostri peccati, Jaca Book, 1972). Un’opera di grande spessore culturale e umano, destinata a diventare il testo basilare del nuovo attivismo indiano.

QUESTO FENOMENO è strettamente legato a un nome: Alcatraz. L’isola è situata nella baia di San Francisco, a due chilometri dalla città. Sede del primo faro costruito sulla costa occidentale degli Stati uniti, successivamente viene utilizzata come bastione, quindi come prigione militare, dopodiché ospita il celebre carcere federale di massima sicurezza. Nel 1963 il procuratore generale Robert Kennedy ordina che il penitenziario venga chiuso. Nella comunità indiana di San Francisco, che conta oltre 20 mila persone, fra i quali molti studenti universitari, si fa strada il progetto di occupare l’isola per denunciare all’opinione pubblica la situazione critica degli Indiani.

DOPO DUE TENTATIVI FALLITI (1964 e 1969), la mattina del 20 novembre 1969 comincia quello destinato al successo. Circa 80 indiani – studenti, coppie, bambini – raggiungono l’isola con delle imbarcazioni, nonostante la Guardia costiera cerchi di impedire l’attracco. Nei giorni successivi arrivano altri indiani. John Trudell, che poi diventerà famoso come attore e musicista, dà vita a una radio pirata, Radio Free Alcatraz.

Gli occupanti rivendicano il territorio sulla base del Trattato di Fort Laramie (1868), che restituisce agli Indiani i territori federali in disuso. La loro richiesta fondamentale è che l’isola diventi una riserva, fornita di tutte le strutture sanitarie, sociali e culturali necessarie.

Ma quando si esaurisce l’entusiasmo iniziale la compattezza comincia a incrinarsi. All’inizio del 1970 Richard Oakes, uno dei capi della rivolta, perde la figlia dodicenne, che muore in seguito a una caduta. Sconvolti dalla tragedia, Oakes e la moglie decidono di abbandonare l’isola.

NEI MESI SUCCESSIVI, quando l’occupazione si è ormai radicata nei media, alcuni attori raggiungono l’isola per portare la propria solidarietà agli occupanti. Primo fra tutti Marlon Brando, che da vari anni sostiene le iniziative organizzate dagli Indiani per difendere i propri diritti. L’arrivo di Jane Fonda, già impegnata contro la guerra del Vietnam, desta invece qualche perplessità, perché molti temono che la sua presenza venga spettacolarizzata dai rotocalchi.

Del tutto strumentale, invece, la presenza di Anthony Quinn, che vuole solo promuovere il suo nuovo film, Flap!, dove il protagonista è un indiano. Sul manifesto pubblicitario si legge che «Gli indiani hanno già reclamato Alcatraz».

L’OPINIONE PUBBLICA, inizialmente piuttosto favorevole agli occupanti, cambia atteggiamento quando un incendio danneggia il faro dell’isola, causando seri problemi alla navigazione. Il governo federale priva infine l’ex penitenziario delle forniture essenziali (acqua e luce), e l’11 giugno 1971 costringe gli occupanti alla resa.

La storia degli anni successivi dimostrerà comunque che la spettacolare iniziativa è stata tutt’altro che inutile, perché Nixon cancellerà la termination policy e riaffermerà (almeno a parole) il rapporto speciale, basato sui trattati, fra le tribù e il governo federale.

 

 

La resistenza nativa di LaNada War Jack

Nelle ultime settimane si stanno susseguendo varie iniziative che commemorano la rivolta di Alcatraz: concerti, conferenze, presentazioni di libri. Un’opera che merita particolare attenzione è il libro Native Resistance: An Intergenerational Fight for Survival and Life (Donning Company, 2019, pp. 132) di LaNada War Jack. La scrittrice shoshone svolse un ruolo centrale nell’occupazione dell’ex penitenziario di Alcatraz, il suo è il racconto appassionante di una testimone diretta.

Ma il libro non si limita a rievocare quell’atto di protesta (20 novembre 1969-11 giugno 1971), ma ripercorre le lotte indiane che hanno segnato il mezzo secolo successivo. LaNada è una donna che ha dedicato tutta la sua la vita alla causa indiana. Non a caso, più recentemente, ha preso parte alla lunga protesta dei Sioux di Standing Rock, organizzata fra il 2016 e il 2017 per contrastare – purtroppo invano – la costruzione di un grande gasdotto (il famigerato DAPL, Dakota Access Pipeline). al.mic.