Dodici giorni: questo è il tempo di cui dispone il Nuovo Fronte Popolare, la coalizione delle sinistre francesi, per vincere una maggioranza in parlamento, o quantomeno per evitare che la ottenga l’estrema destra di Marine Le Pen. Ieri infatti è iniziata ufficialmente la campagna elettorale per le legislative anticipate, provocata dalla dissoluzione della camera sancita a sorpresa da Emmanuel Macron.

Sono giorni in cui tutto pare evolversi a velocità massima. «Quello che sembrava impossibile una settimana fa, diventa possibile di fronte al pericolo costituito dall’estrema destra», ha detto ieri il segretario del Partito Socialista Olivier Faure in un’intervista a Le Monde.

Il Nuovo Fronte Popolare si è presentato ieri ai blocchi di partenza unito in una grande coalizione senza precedenti. Un arco che va da ex-ministri macronisti e figure della destra del Partito socialista come François Hollande, ai trotzkisti del Nouveau Parti Anticapitaliste, passando per i Verdi, i comunisti del Pcf e La France Insoumise, che ha conservato (come all’epoca della Nupes nel 2022) il maggior numero di candidature.

La coalizione gioisce di una grande carica simbolica, richiamandosi all’alleanza dei socialisti e dei comunisti degli anni ‘30 capeggiata da Léon Blum, che mise fine all’assalto al potere delle destre fasciste e diede il via a una grande stagione di lotte e di vittorie del movimento operaio francese. Ma i simboli, da soli, non bastano a occultare per intero le divisioni interne alle molteplici realtà della sinistra.

Negli ultimi giorni prima dell’ufficializzazione delle candidature, la discesa in campo con il Ps di François Hollande – la cui presidenza ha lasciato un ricordo più che amaro tra le fila del suo stesso partito e tra i sindacati – ha creato un certo imbarazzo, così come l’esclusione di quattro deputati uscenti di Lfi che il partito ha deciso di non ricandidare, poiché troppo critici della linea di rottura con la socialdemocrazia tradizionale tracciata da Lfi. «Manteniamo la promessa di allargare le candidature agli ambienti sindacali e associativi», si è difeso Jean-Luc Mélenchon l’altro ieri, durante un’intervista al quotidiano francese 20 Minutes.

Oltre agli apparati, tuttavia, anche i movimenti sono investiti nel Fronte Popolare, ed esercitano una notevole pressione sui partiti. Un fedelissimo di Mélenchon come Adrien Quatennens, per esempio, condannato nel 2022 per violenze domestiche, ha annunciato di ritirare la propria candidatura, davanti alla mobilitazione dei movimenti femministi e di una parte di Lfi.

La complessa articolazione tra gli apparati di partito in lotta tra di loro, tra sezioni locali e dirigenze nazionali, sta causando più di un grattacapo su di una manciata di candidati, con alcuni pezzi più conservatori della coalizione che rifiutano di appoggiare alcuni candidati più radicali (e viceversa). Emblematico, in questo senso, il caso di Raphael Arnault, giovane militante antifascista candidato tra le fila di Lfi, ma giudicato «un profilo troppo estremista» dal Ps locale, che presenterà un candidato in concorrenza, malgrado gli accordi siglati dai rispettivi partiti nazionali.

Epifenomeni che, se non sembrano scalfire la dinamica elettorale, rivelano però la frattura tutt’altro che ricucita tra una sinistra tradizionale, più vicina al Ps di François Hollande (del quale Macron fu ministro dell’economia), e un’altra decisa a effettuare una cesura con le politiche neoliberali, il cui epicentro è La France Insoumise. Divergenze di linea per ora messe da parte, in nome dell’imperativo d’impedire all’estrema destra l’accesso al potere.