C’è una mafia nella capitale, secondo i giudici della Decime sezione penale del tribunale di Roma. Si tratta del clan Casamonica. Ieri, dopo sette ore di camera di consiglio, è stata pronunciata la sentenza di condanna per 44 imputati accusati di vari reati. Nella città che fa da camera di compensazione tra diverse organizzazioni, senza un gruppo dominante, l’associazione mafiosa in questione secondo i giudici era dedita a traffico e spaccio di droga, estorsione, usura e detenzione illegale di armi.

Nella sua requisitoria dello scorso maggio, il pubblico ministero Giovanni Musarò aveva chiesto condanne per 630 anni, avvalendosi anche della testimonianza di alcuni collaboratori di giustizia che avevano contribuito a ricostruire la gerarchia e la struttura del clan.

È il terzo riconoscimento del reato di associazione mafiosa per una organizzazione della capitale: prima dei Casamonica era stato il turno degli Spada e dei Fasciano. Queste sentenze presagirono quella arrivata ieri. Anche se soltanto pochi anni fa i giudici consideravano i Casamonica una «banda radicata sul territorio che non ha, però, la struttura verticistica e la capacità di affiliazione delle organizzazioni criminali mafiose». Oggi l’organizzazione riceve il bollino di mafia autoctona. Al contrario di quanto era avvenuto per la cosiddetta Mafia Capitale di Buzzi e Carminati, che a dispetto del nome è stata relegata a a sodalizio dedito ad attività di estorsione e corruzione, senza l’aggravante mafiosa, segnando una sconfitta per la procura.

Le condanne entrano da subito nel pieno del dibattito politico-elettorale. Esulta Virginia Raggi, che rivendica di aver demolito le case dei Casamonica lungo l’Acquedotto Felice: «È la conferma che a Roma il clima è cambiato», dice la sindaca. Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, parla di «sentenza storica».