Un corpo senza nome sulla strada che dal porto di Ancona porta verso la statale. Non aveva documenti addosso il migrante morto sotto le ruote del tir a cui si era aggrappato per cercare di passare la dogana ed entrare in Italia, gli investigatori suppongono che venisse dall’Afghanistan e che fosse arrivato con uno dei traghetti che collegano il capoluogo marchigiano alle coste greche, con scali a Igoumenitsa e Patrasso. Si sarebbe imbarcato da una di queste due località, come fanno molti dei migranti in fuga dal proprio paese in cerca di un approdo in qualche modo più sicuro, all’inseguimento di un futuro quasi sempre impossibile.

Il giorno di Natale c’era un traghetto all’ora di pranzo al porto di Ancona e tutti gli indizi portano a pensare che l’uomo morto senza nome si fosse nascosto lì e poi abbia cercato di fuggire piazzandosi sotto la pancia di un tir. L’incidente mortale è avvenuto nel pomeriggio, tra la via Flaminia e via Conca, all’altezza del quartiere Torrette, il camion non si è nemmeno fermato e adesso la polizia lo sta cercando, ma le speranze di ritrovarlo sono poche.

Se davvero proveniva dall’Afghanistan, prima di imbarcarsi in Grecia, il migrante aveva attraversato l’Iran e la Turchia, oltre al proprio paese di origine, per un viaggio che può durare anche diversi mesi. L’arrivo in Italia, infine, non è nemmeno un affare semplice: o ci si affida ai canali istituzionali e si richiede asilo oppure si tenta la via della clandestinità.

«Fatti come quello di ieri (martedì, nda) avvengono spesso da queste parti – raccontano dall’Ambasciata dei diritti delle Marche – il benzinaio che sta sulla strada si è trovato spesso a soccorrere ragazzi che cadono a terra dai tir». Ancona, come luogo di sbarco, è meno noto di altri, ma in tanti cercano di arrivare in Italia passando da qui. Per chi decide di attraversare l’Europa dell’est, d’altra parte, le soluzioni sono due: o la traversata a piedi lungo i Balcani oppure i traghetti dalla Grecia, un po’ più rapidi ma molto meno sicuri. Chi riesce ad arrivare via mare, infatti, poi deve venire fuori dal porto e l’unico metodo, spesso, è quello di aggrapparsi ai tir, con il rischio concreto di finire travolti dalle gomme. Quello di martedì non è il primo corpo che resta per strada. L’assenza di documenti, per il resto, rende le identificazioni molto complicate, tanto che del caso di martedì nemmeno alla camera mortuaria dell’ospedale ne sanno granché. Il corpo dell’uomo morto a Natale non è lì, è stato portato direttamente nei locali frigoriferi, nella speranza che si riesca a capire chi fosse e avvertire la famiglia. Se non succederà, come da prassi, si procederà a una sepoltura anonima in una sezione del cimitero cittadino.

«Non è una disgrazia, non è un incidente – dicono ancora dall’Ambasciata dei diritti -, ci sono responsabilità ben precise tra quelli che non permettono l’esistenza di canali umanitari, tra i responsabili del porto e del valico di frontiera, quindi prefettura, ministero dell’Interno e polizia. Il servizio di accoglienza è discontinuo, non sempre ci sono gli operatori al lavoro».

Le istituzioni, dal canto loro, tacciono sempre quando accadono fatti come questo: la prima cittadina Valeria Mancinelli (Pd) non ha detto nulla – «Soltanto l’ex sindaco Gramillano si faceva almeno vedere», sostengono le associazioni che si occupano di migranti -, e il presidente dell’autorità portuale Rodolfo Giampieri continua a ribadire che lui gestisce i traghetti ma non la sicurezza dell’area. Il giorno di Natale ha portato una nuova vittima, senza nome e probabilmente destinata ad essere dimenticata nel giro di poco tempo.