Venerdì alla Casa bianca il presidente degli Stati uniti, Joe Biden, ha incontrato l’omologo afghano Ashraf Ghani e il capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale, Abdullah Abdullah.

L’incontro avviene nel momento più incerto e drammatico della Repubblica islamica d’Afghanistan, l’architettura istituzionale sorta sulle ceneri dell’Emirato dei Talebani, quei Talebani prima bombardati dagli americani, nel 2001 e negli anni successivi, poi trasformati in interlocutori diplomatici.

Il ritiro è inevitabile, i giochi sono fatti, ha ribadito Biden, coerente con le posizioni espresse dal 2008/2009, da quando si è convinto che non ci possa essere soluzione militare al conflitto afghano, ma diplomatica.

Divenuto presidente, ha confermato l’accordo bilaterale con i Talebani voluto dal predecessore Trump: via le truppe straniere in cambio di garanzie vaghe da parte dei militanti islamisti. Che quell’accordo non abbia portato a nessun risultato concreto sul piano diplomatico conta poco. Biden lo ha detto chiaramente a Ghani e Abdullah: il ritiro avverrà, qualunque cosa accada sul terreno, entro l’11 settembre. E probabilmente prima.

Sul terreno qui in Afghanistan succede che ogni ora un nuovo distretto è conteso, conquistato o riconquistato. Preso dai Talebani, poi liberato dalle forze governative. È un vero e proprio balletto continuo di numeri, pezzi di territorio sottratti, macchine della propaganda a pieno regime. Chi guarda da lontano freme, preoccupato: i Talebani avanzano.

Chi si trova nel mezzo, i civili, rimane ferito o è costretto a scappare. Centinaia di migliaia i nuovi sfollati interni. Quando e se potranno tornarea casa è incerto. Di questo Biden e Ghani non hanno parlato.

I due presidenti hanno bisogno l’uno dell’altro, pur sapendo di non poterci contare. Biden ha insistito con Ghani e Abdullah – suo storico rivale politico – affinché trovino un’intesa tra di loro e con gli altri pesi massimi della politica di Kabul, per negoziare con i Talebani. Ma nessuno ci crede.

E per Ghani ogni intesa è tale se prevede che a decidere rimanga lui. Ha bisogno di Biden, pur sapendo che ormai, con gli Usa verso il ritiro completo, dovrà trovare nuove sponde regionali. Washington comunque serve ancora, per due motivi.

Il primo è un messaggio ai Talebani: gli americani ci aiuteranno anche da lontano. Ma è un messaggio debole. Il sostegno militare da remoto è complicato e Washington tentenna. L’altro motivo è più fondamentale: i soldi. Ghani ha incassato l’impegno di Biden sulla continuità del sostegno finanziario alle forze di sicurezza afghane. È prioritario. Senza quel sostegno, si sfalderebbero in poche settimane. C’è da vedere quanto a lungo sarà mantenuto. Fino al 2024 sembra certo. Ma da qui ad allora tante cose saranno cambiate.

Il presidente afghano ha in mente di terminare il suo mandato, ma intorno a lui si fanno sempre più intensi i movimenti centrifughi, i tentativi per trovare un pretesto per liberarsene. Ghani, inoltre, è la bestia nera dei Talebani e di Islamabad. Anche stavolta, negli incontri che hanno preceduto quello con Biden, Ghani ha voluto farsi simbolo del carattere repubblicano delle istituzioni.

«Difendere la Repubblica è una scelta di valori – ha dichiarato – tra un sistema inclusivo e uno che esclude». Eppure conta poco sostegno tra gli stessi politici afghani.

Al contrario, l’uomo che guida gli studenti coranici, Haibatullah Akhundzada, è riuscito a conquistarsi un’ampia maggioranza di voti nella Rabhari Shura, il più alto organismo di indirizzo dei Talebani, grazie alle scelte politiche degli ultimi mesi. Tra cui mantenere in piedi l’accordo con gli americani, a dispetto della scelta di Biden di posticipare il ritiro di qualche mese rispetto a quanto concordato a Doha.

Il leader supremo talebano è blindato sul fronte interno. Il suo movimento è all’offensiva – non ancora completamente dispiegata – sul territorio. Ghani, invece, è debole, l’esercito incassa e reagisce.

Non basta a rafforzarlo la visita a Biden, che assicura cooperazione e sostegno ma in pratica dà il benservito agli afghani: arrivederci e grazie. Vedetevela voi, ora.