Quasi 6 milioni di voti, pari al 12,6%, e ben 94 eletti. Numeri che ne fanno il terzo partito del paese alle spalle dell’unione tra Cdu/Csu e della Spd. A soli quattro anni dalla sua fondazione, l’Alternative für Deutschland non ha solo fatto un rumoroso ingresso nel Bundestag, ma ha segnalato con il proprio risultato quali umori traversino una parte importante della società tedesca. Un’affermazione offuscata solo in parte dall’annuncio della rottura definitiva con l’ex leader, Frauke Petry, già sconfitta ad aprile nel congresso di Colonia dall’ala più oltranzista del partito, che ha annunciato che non farà parte del nuovo gruppo parlamentare perché in disaccordo con «la linea di estrema destra» scelta dall’attuale gruppo dirigente.

UNA PROPOSTA POLITICA, fondata su un mix di nazionalismo e xenofobia, di critica al sistema dei partiti e di appello al popolo e all’identità tedesca, che ha però convinto un gran numero di tedeschi provenienti da ambienti diversi, settori sociali spesso agli antipodi, uniti dalla radicalizzazione e dal rifiuto delle forme tradizionali della rappresentanza. Al punto che l’AfD ha realizzato il proprio exploit grazie a un travaso sistematico di voti provenienti da gran parte delle altre forze politiche del paese.

Se la fetta più consistente, 1,2 milioni, arriva da elettori che in precedenza si erano astenuti, a ruota ci sono il milione di voti già andati al partito di Merkel e ai suoi alleati bavaresi della Csu, i 470 mila provenienti dal bacino elettorale della Spd e gli oltre 400 mila della Linke, oltre ai 50mila che si stima provengano rispettivamente da Liberali e Verdi.

Lo stesso si può dire della disposizione geografica dei consensi. In tutte le regioni della ex Germania Est, dove è nata ed è già radicata, la formazione xenofoba è diventata la seconda forza politica locale dopo la Cdu, con percentuali intorno al 21%, mentre in Sassonia, dove oltre al difficile confronto con l’ovest pesano anche le divisioni sociali introdotte dallo sviluppo della cosiddetta Silicon valley locale, specializzata in micro-elettronica, ha addirittura superato i democristiani raccogliendo il 27% dei consensi e diventando così il primo partito. Allo stesso modo però, anche in Baviera, al contrario una delle aree più prospere del paese con un tasso di disoccupazione sotto il 3%, la nuova destra ha raccolto ben il 12,%, mentre il partito-Stato della Csu ha perso d’un colpo oltre 10 punti percentuali. La riprova che l’AfD parla a un pubblico eterogeneo e cerca di intercettare ed offrire ascolto ad ogni sorta di malessere.

LA CAMPAGNA-SHOCK condotta dal ticket per la Cancelleria formato da Alexander Gauland, un avvocato 76enne ex esponente dell’ala più conservatrice della Cdu, partito che ha lasciato in polemica con la linea «moderata» di Merkel e da Alice Weidel, economista 38enne, passata per colossi finanziari come Goldman Sachs, Bank of China e il gruppo Allianz, che vive con una produttrice cinematografica originaria dello Sri Lanka e i loro due figli adottivi, aveva del resto già illustrato la strategia dell’AfD. Estremista e inquietante, ma articolata. Gauland ha strizzato l’occhio a nostalgici e neonazisti, dicendo che i tedeschi devono «essere fieri dei risultati dei nostri soldati durante la Seconda guerra mondiale», mentre Weidel ha fatto appello al nuovo razzismo montante e agli sconfitti della globalizzazione parlando di coloro «le cui vite sono decise da altri», ma soprattutto guidando la campagna anti-Islam del partito, scandita da manifesti con donne in bikini «per dire no al burka», a colpi di dichiarazioni su gay e donne che sarebbero minacciati dalla presenza dei musulmani nel paese.

In sostanza, il mescolarsi di correnti identitarie e estremiste, che lambiscono anche gli ambienti del neonazismo, alla linea nazional-liberale, anti Ue e anti euro, che caratterizzava l’AfD al momento della sua fondazione, come ha ricordato la giornalista dello Spiegel Melanie Amann nel suo Angst für Deutschland (Paura per la Germania), uscito proprio alla vigilia di queste drammatiche elezioni.