Scusate ma non sono molto tranquillo con questa telecamera». In verità tutti noi eravamo emozionati in quel lontano 2010 quando stavamo iniziando, con l’intervista all’architetto Roberto Gottardi, a raccontare con il libro Cuba, le scuole nazionali d’arte la meravigliosa avventura che insieme a Riccardo Porro e Vittorio Garatti avevano vissuto nel realizzare quel capolavoro contemporaneo delle scuole di Cubanacan. Roberto, in particolare, oltre a essere un maestro era ormai diventato per noi un amico e nelle tante serate passate insieme riusciva sempre a trovare una storia, un aneddoto che ancora non ci aveva raccontato della sua meravigliosa vita. Era forte l’emozione di parlare con l’uomo che aveva dato forma, con la sua architettura visionaria, alla volontà che il Che e Fidel avevano avuto di realizzare una scuola aperta a tutti i giovani artisti del mondo convinti che la cultura fosse un fattore determinante per promuovere la libertà dei popoli. Ancora oggi ci pare di vedere il suo sorriso paziente durante una delle ultime lectio magistralis tenuta alla facoltà di architettura dell’Avana di fronte a un pubblico di giovani laureandi estasiati dalle parole del Maestro che raccontava la sua idea di architettura, moderna e nuova come solo chi ha percorso quasi un secolo di vita può riuscire a fare.
Roberto Gottardi è stato, per noi dell’Arci, un punto di riferimento culturale, una persona che ha rappresentato le utopie rivoluzionarie senza mai cadere nella retorica, per noi era sempre lì all’Avana nella sua modesta casa al Nuevo Vedado con sua moglie Luz Maria, per noi era lì come il malecon o come la statua di Josè Martì o come il viso stilizzato del Che in Piazza della Rivoluzione, insomma un simbolo stesso dell’Avana, della nostra Avana. La prossima volta che torneremo mancherà qualcosa a questa città.
I Compagni dell’ ARCI