Essere preferiti a Greta Thunberg per il Nobel significa godere di una grandissima considerazione internazionale. Abiy Ahmed, però, se la passa decisamente peggio nella sua Etiopia. Due settimane esatte dopo l’annuncio dell’assegnazione del premio, l’attivista Jawar Mohammed ha denunciato un complotto ai suoi danni. Il fondatore dell’Oromia Media Network sostiene che il primo ministro, agendo come un «dittatore», lo vorrebbe morto. Come? Togliendogli il servizio di scorta.

La risposta di Ahmed non si è fatta attendere: la polizia ha fatto irruzione nell’abitazione di Mohammed (che tra le altre cose ha cittadinanza Usa) scatenando proteste in tutto il Paese e offuscando l’aura di leader democratico guadagnata per aver liberato migliaia di oppositori politici in occasione del suo insediamento. Gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine scoppiati a fine ottobre in diverse città hanno causato decine di morti.

La fine di un idillio, l’inizio di una battaglia. Mohammed era stato il fondatore del movimento Qeerroo, uno di quelli che aveva portato alla caduta del governo di Hailemariam Desalegn, il predecessore di Ahmed. Ora ha annunciato che si candiderà alle elezioni del 2020. È l’appuntamento prioritario nell’agenda di Abiy (con buona pace dei rifugiati eritrei), che ha appena creato il Partito della Prosperità, ponendo fine alla coalizione del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo , nato nel 1989. (s.v.)