E’ scomparso qualche giorno fa Virginio Bettini, ecologo, già docente all’Iuav; uno dei padri dell’ambientalismo scientifico italiano.
Di formazione geografica – allievo e collaboratore di Lucio Gambi – fin dalla prima formazione universitaria, già arricchita da diverse visite a sedi europee e americane (nonostante la tessera Pci), indirizzò i suoi studi principalmente verso l’ecologia. La successiva collaborazione con Giulio Maccaccaro e Medicina democratica – consolidata da una non breve esperienza professionale nel presidio sanitario di Corsico nell’hinterland milanese, anche per valutare e curare i danni post disastro Icmesa – accentuarono le sue acquisizioni circa le i gravi effetti ambientali del modello di sviluppo corrente.

Fu chiamato nel 1976 ,anche per le sue relazioni internazionali, ad insegnare Ecologia presso il primo Corso di laurea in Urbanistica italiano, fondato e diretto a Venezia da Giovanni Astengo . Bettini sottolineo’ subito che la crescita della città in corso non solo era eccessiva e troppo impattante, ma non teneva in alcun conto la struttura ecologica dei contesti trasformati: la città distruggeva il proprio «apparato organismico»; invece di costituire «ecosistema urbano». Come si seguita a fare nel Country inglese,dove gli insediamenti sono cresciuti secondo le regole ambientali locali. Il mainstream degli urbanisti considerava allora tali posizioni troppo «deep ecologist», quasi utopistiche.
Bettini rivolgeva i propri studi anche verso i danni dell’energia nucleare(aprì la sua relazione alla conferenza nazionale energetica del 1987 agitando uno scheletro di plastica,a denunciare i danni anche epidemiologici da radionuclidi). Ma sottolineava, dopo il referendum che ne sancì l’abbandono, come l’alternativa energetica non dovesse essere fossile, soprattutto non il carbone.

Fu tra gli studiosi che più divulgarono in Italia e in Europa le elaborazioni sui modelli di Valutazione di impatto ambientale; su cui aveva abbondantemente operato negli Usa, dove quelle valutazioni di piani e progetti erano praticate fin dalla legge quadro sull’ambiente del 1969. Grazie a Lui studiosi del calibro di Barry Commoner, Larry Canter, Lawrence Ortolano divennero presenze abituali nei consessi interessati alle tematiche ecologiche. E non soltanto nelle accademie.
Virginio Bettini è stato infatti anche promotore di istanze scientifiche anche presso associazioni e movimenti. Dopo la prima esperienza nella Commissione ambiente del Pci,che coordinò insieme a Laura Conti,e all’adesione a Italia Nostra – insieme a tutti i componenti del primo corso di laurea in Urbanistica – fu tra i fondatori dell’allora Lega per L’Ambiente e, memore dell’insegnamento di Maccaccaro a Sinistra e movimenti – Non perdiamo mai la copertura scientifica -, fu molto attento a costituirne il primo comitato scientifico.

Nel tempo, Bettini ha spesso sofferto le «degenerazioni conservatrici o peggio» , spesso da derive individualistiche o carrieristiche, che segnavano molte forme istituzionalizzate della sinistra, anche accademica o ambientalista: rispetto a queste ha spesso aperto contrapposizioni dialettiche molto dure. Ha continuato sempre a collaborare con movimenti di base.
Oggi anche archistar come Stefano Boeri sostengono che «la città soffre della dialettica oppositiva tra insediamento e natura», i cui dettami andrebbero invece assolutamente rispettati. E’ quello che Virginio diceva qualche decennio fa: non era troppo radicale, forse assai in anticipo.