Ci ha lasciato in questi giorni Bruno “Dado” Morandi. Un compagno straordinario che ha accompagnato la vita, sofferta, della nuova sinistra in Italia e in particolare la storia del Manifesto. Basterebbe questo per dire che si è «arrampicato» con difficoltà da sesto grado tra le crepe più difficili di rocce e aspri anfratti per costruire e lasciare tracce positive, progettuali. Diciamo questo anche con riferimento all’altro suo impegno, quello di scalatore di montagne: molte «vie» per l’arrampicata al Gran Sasso portano il suo nome. Sodale nello sfidare le vette aveva un «compagno» eccezionale, Bruno Trentin, lo storico segretario della Fiom.

QUEL CHE NON CI PIACE è che se ne vada in silenzio. Senza la memoria degli altri. Non pensiamo certo al clamore della piazza, lontano dalla sensibilità di un uomo molto schivo, più avvezzo ad aprire generosamente nuove strade per gli altri che a promuovere se stesso, com’è invece la pratica diffusa, purtroppo anche a sinistra. Mettere in contatto le esperienze e le persone, sollecitare i contenuti, accettare le sfide: questo è stato il lavoro, meglio il lavorìo assiduo della sua vita di rocciatore di vette.

Lo abbiamo conosciuto subito, fin dalle prime ore dell’esistenza del Manifesto a Roma quando, allegro, eternamente con ai piedi le fidate scarpe «carrarmato», sempre con la mano destra pronta a riaggiustare con garbo il ciuffo biondastro di capelli che gli scendeva sul volto, pronto a raccontare il maggio francese al quale aveva partecipato. Così raggiungeva con la sua scassata 500 le borgate più nascoste dove si annidavano gruppi sparuti di giovani e meno giovani comunisti che erano stati radiati dal Pci con il gruppo politico del Manifesto che allora faceva capo alla rivista, cacciati perché accusati di frazionismo.

Così faceva anche in giro per l’Italia, tentando di dare forma organizzata a chi rimaneva ancora attonito, per metà sconfitto e inconsapevole sul da farsi, per metà contento del nuovo che nasceva. Sarebbero nati tanti Centri d’iniziativa comunista legati al Manifesto; non volevamo un altro gruppo extraparlamentare ma centri di elaborazione e discussione connessi solo alle lotte operaie e sociali.

INGRAIANO DELLA PRIMA ora e molto legato alla figura di Aldo Natoli, l’ingegnere Bruno Morandi insisteva sul trovare basi di classe – gli edili a Roma (che per noi era «la capitale del Capitale» secondo una felice intuizione di Pio Marconi), e la nuova realtà degli studenti – alla costruzione originale che volevamo mettere in piedi. E non lesinava ad indicare i riferimenti programmatici e teorici dell’impresa che ci attendeva. Il Marx che fin ad allora conoscevamo era quello del Captale, ma erano da poco usciti i Grundrisse. Ne scrisse già sul primo numero della rivista del giugno 1969 Martin Nicolaus. E fu per tutti una scoperta.

Per Bruno era quella la novità che avrebbe consentito di aprire nuovi orizzonti a sinistra e a questo tema dedicò due saggi, Introduzione a Marx, quattro conversazioni, del ’73 (ed Tecnocopia) e Introduzione al Marxismo, da Marx al capitalismo maturo, del ‘76 (ed Musolino). Cominciò allora, insieme al rapporto con settori del sindacato metalmeccanico, la sua lunga e preziosa collaborazione al quotidiano quando nacque nell’aprile ’71.

NEL NOSTRO GIORNALE intanto avrebbe conosciuto l’infaticabile e preziosa Rina Gagliardi; fu un amore a prima vista, credo, che sarebbe durato tutta la vita. E quando a inizio degli anni Ottanta Rossana Rossanda volle la nascita della «Cooperativa il manifesto Anni ’80» per rilanciare le sorti del giornale dopo i terribili anni Settanta che avevano visto tra l’altro anche la rottura del nostro gruppo storico, Bruno Morandi si mise al servizio della nuova iniziativa.

Dal 1983 al 1985 organizzammo – con Ivano Di Cerbo e Benedetto Vecchi allora giovanissimo – tre seminari che presero il nome di “Ipotesi per una alternativa di sinistra” e che diventarono un libretto che ebbe quattro edizioni. Erano riunioni più che partecipate, alla prima c’erano più di duecento gli iscritti, e tutte finivano con una sessione di esperienze dirette, dibattito, domande. Bruno era il grande e umile divulgatore non solo di teoria, ma di proposte concrete di trasformazione della realtà che allora, di fronte alla «possibilità» di governo delle sinistre, sembrava a portata di mano.

Intanto il rapporto con Rina Gagliardi diventava sempre più profondo, per un legame che continuò anche nell’esperienza coraggiosa della nascita di Rifondazione comunista dopo la scellerata Bolognina. Prima del suo lungo silenzio, ricordo due immagini di lui purtroppo tristi. Nella Sala Frentani a Roma si consumò la rottura dentro Rifondazione dopo il tracollo elettorale del 2005; nel caos generale, lui e Rina erano in prima fila, scuri in volto, arrabbiati; non ho mai visto Bruno arrabbiato, ma in quel momento era così nervoso da sembrare sospeso tra furia e pianto. Lui che era sempre stato eternamente gentile. E poi, come annichilito, con il corpo piegato in due da molte sofferenze fisiche, l’ho rivisto all’ultimo saluto per Rina Gagliardi alla Sala Valdese di Roma.

IL PESO DI SCONFITTE e abbandoni umani già doveva sembrargli non più sopportabile se da lì in poi si sarebbe chiuso in un mutismo assoluto. Ahimè non sollecitato a quel punto, credo, mai più da nessuno. Addio Bruno, in tanti ti devono molto e rimpiangono il tuo stile gentile e disinteressato di costruire i rapporti umani. Noi non ti dimentichiamo.

AL FRATELLO Maurizio l’abbraccio del collettivo de il manifesto.