In questi giorni in Tunisia sono emerse posizioni diverse rispetto alla decisione del presidente Kais Saied di sospendere le attività del parlamento, togliere l’immunità ai suoi membri, destituire il primo ministro con la promessa di nominare entro 30 giorni un nuovo governo. Il paese è diviso tra sostenitori, contrari e attendisti.

Ne abbiamo discusso con Yadh Ben Achour, giurista di fama internazionale attualmente membro del Comitato dei diritti umani delle Nazioni unite, che ha guidato la transizione tunisina dalla Rivoluzione del gennaio 2011 sino all’elezione dell’Assemblea costituente, presiedendo la Haute istance pour la réealisation des objectif de la Révolution, de la réforme politique et de la transition démocratique.

Negli ultimi giorni, lei ha parlato apertamente di un colpo di stato. Perché?

Non è solo negli ultimi giorni che ho parlato di un «colpo di stato contro la Costituzione». Ne ho parlato per diversi mesi in una serie di interviste. In diverse occasioni, il presidente della Repubblica ha violato la Costituzione o ne ha dato un’interpretazione arbitraria. Per esempio, ha rifiutato il giuramento di ministri che avevano ottenuto la fiducia del parlamento, ha rifiutato di promulgare le leggi approvate dall’Assemblea dei rappresentanti del popolo, come quella sulla Corte costituzionale, e si è proclamato comandante supremo di tutte le forze armate. Quello che è successo il 25 luglio fa quindi parte di un lungo ciclo di atti incostituzionali. Il ricorso all’articolo 80 della Costituzione è contrario alla Costituzione stessa perché non ci sono né le condizioni formali né quelle sostanziali per la sua applicazione. Inoltre, il presidente si è concesso le prerogative di un vero dittatore, concentrando nelle sue mani il potere esecutivo, il potere legislativo e il potere giudiziario. Non so come altro si potrebbe chiamare tutto questo se non un colpo di stato contro la Costituzione.

Yadh Ben Achour

Secondo lei, quali sono le ragioni che hanno portato a questa decisione di Saied?

La ragione principale deriva da un funzionamento deplorevole del sistema parlamentare. Le istituzioni sono diventate dei gusci vuoti. Lo Stato è notevolmente indebolito. Il partito islamista, che ha la maggioranza in parlamento, si è reso responsabile di un aumento senza precedenti della corruzione, della politicizzazione del sistema giudiziario, del blocco istituzionale, della regressione e dell’islamizzazione della società. Si è rivelato un vero e proprio partito predatore. Tutto questo spiega il giubilo popolare che si è scatenato quando è stato dichiarato lo stato di emergenza ai sensi dell’articolo 80. Personalmente, sono d’accordo con tutto questo. Era infatti necessario cambiare il sistema e rivitalizzarlo. Ma per raggiungere questo obiettivo, c’erano altri mezzi. Tra questi, cito l’iniziativa dell’Unione Generale del Lavoro della Tunisia, l’Ugtt, il grande sindacato storico, che ha proposto l’avvio di un dialogo nazionale per risolvere i problemi. Il presidente della Repubblica ha fatto di tutto per sabotare questo progetto.

Perché pensa che la scelta di Saied abbia ricevuto un largo sostegno tra la popolazione?

Il popolo tunisino si aspettava molto dalla Rivoluzione. In particolare le rivendicazioni di dignità e giustizia sociale sono state totalmente deluse. La regressione dei redditi che ha portato a una regressione del livello di vita, l’alto costo dei prodotti di base, in particolare dei generi alimentari, l’aumento dell’inflazione, il deprezzamento del dinaro e il sovraindebitamento dello Stato spiegano la delusione e la rabbia del popolo. Perciò, quando il 25 luglio è stato dichiarato lo stato di emergenza, il popolo ha espresso la sua gioia. Capisco tutte queste reazioni e posso anche dirvi che le approvo. Ribadisco semplicemente che il ricorso all’articolo 80 non risolverà i problemi e che rischia di metterci in difficoltà, le contraddizioni e i fallimenti potrebbero essere peggiori di quelli che abbiamo vissuto finora.

Che ruolo avrà ora al-Nahda? Se nelle prime ore parlavano di colpo di stato e della necessità di ristabilire la democrazia e riprendere il parlamento, oggi alcuni dirigenti come Samir Dilou dicono che bisogna accettare la situazione e trarne una lezione.

Samir Dilou non è l’unica personalità islamista a sostenere questo. Altri sono ben consapevoli che il loro partito è totalmente screditato a causa della loro incapacità di gestire il paese. Non vedo cos’altro possano fare se non correggere la loro strategia. Sono quindi costretti ad avviare un dialogo con l’attuale leadership. Dovrebbe esser loro permesso di farlo.

Quali pensa che saranno le possibili reazioni della società civile che non è d’accordo con queste decisioni?

Durante il suo ultimo incontro con alcuni rappresentanti della società civile, il presidente ha cercato di imporre un monologo, ma è stato fermato. Le organizzazioni della società civile hanno posto le loro condizioni: non superare la scadenza di un mese, non nominare un governo interamente legato al presidente e tornare alla vita costituzionale ordinaria. La società civile rimane la vera forza di resistenza contro la dittatura.

Cosa succederà alla libertà conquistata con la rivoluzione del 2011?

C’è un grande rischio. Ma è semplicemente un rischio. Penso che la società tunisina sia abbastanza forte e molto attaccata alla libertà conquistata con la Rivoluzione e che non vi rinuncerà mai. Tutti i tentativi di sfidare queste libertà falliranno.

*Università degli studi di Ferrara

**Università di Pisa