In commissione affari costituzionali del senato la Lega ha ritirato l’emendamento per il terzo mandato dei sindaci, sul quale pesava il parere contrario del governo. È rimasto in campo l’emendamento leghista per i presidenti di regione. Respinto l’invito al ritiro, il no ha prevalso 16 a 4, con i soli voti a favore di Lega e Italia Viva.

Meloni vince, ma non è detto che la vicenda si chiuda qui.

Per il momento rimangono i dati normativi vigenti. Per l’articolo 122 della Costituzione il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente sono disciplinati con legge regionale nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica.

In attuazione dell’art. 122, la legge 165/2004, art. 2, lett. f, pone tra i principi fondamentali la “non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del presidente della Giunta regionale”.

Cosa prevedeva l’emendamento leghista? Modificava nell’art. 2 il “secondo” in “terzo” mandato. Aggiungeva poi un comma, per cui la norma andava applicata “ai mandati successivi alle elezioni effettuate dopo la data di entrata in vigore delle leggi regionali di attuazione”. In realtà, potremmo parlare di un “comma Zaia”, perché scriveva in chiaro la lettura data per la legge veneta 5/2012 di attuazione della legge 165/2004. Zaia è oggi al suo terzo mandato. Il primo – 2010-2015 – non è calcolato, perché la legge veneta di attuazione (2012) è successiva al voto del 2010. Per lui contano solo i due mandati 2015-2020 e 2020-2025. L’emendamento leghista avrebbe aperto a un terzo mandato, che sarebbe però stato di fatto per lui il quarto (2025-2030). Venti anni come governatore.

È corretto considerare Il limite dei due mandati vigente e vincolante per il legislatore regionale, dal 2004. È ben vero che la legge 165/2004 ambiguamente richiama la “normativa regionale adottata in materia”. Ma non si può certo leggere nel senso che sia rimessa alla regione la scelta sul se o quando applicare un principio che la legge statale esplicitamente qualifica come “fondamentale”. Ciononostante, Zaia è stato eletto consecutivamente per la terza volta nel 2020. All’epoca della legge veneta di attuazione 5/2012 e della terza elezione consecutiva di Zaia il governo non ha reagito, come avrebbe potuto. Cosa farà l’esecutivo, se qualche regione ora segue la traccia di Zaia? Proporrà ricorso alla Consulta? E cosa farà il ministro Calderoli? È in rete una dichiarazione di Toti, presidente della Liguria, cointeressato, che prima del voto in Commissione prefigurava un contenzioso quasi infinito tra governo e regioni “se non si mette ordine sul vincolo del terzo mandato”. È improbabile, visto l’esito della votazione, che nel prosieguo dei lavori parlamentari si cambi rotta. Ma chi vuole il terzo mandato potrebbe provare altre vie.

Da ultimo la Consulta (sentenza 60/2023) ha deciso per l’illegittimità di una legge sarda per gli enti locali, affermando – con ampi richiami alla Corte di cassazione e al Consiglio di Stato – che il limite dei mandati nel caso di elezione diretta del capo dell’esecutivo garantisce fondamentali diritti e principi costituzionali: “l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità”.

Sono verità indiscutibili, per sindaci e governatori. Dieci anni di potere, per di più con assemblee elettive generalmente ridotte in stato comatoso, sono abbastanza. Ma sul terzo mandato si è svolta una battaglia tra la bassa cucina Meloni e la bassa cucina Salvini, con posti a tavola anche per le opposizioni. La vicenda nel suo svolgersi ha avuto ben poco a che fare con la democrazia e la volontà del popolo sovrano, che pure tutti hanno variamente richiamato. Vedremo piuttosto gli effetti della spaccatura che si è registrata nella maggioranza, troppo pesante per non lasciare tracce.

Gli Stati Uniti subito dopo la morte di F.D. Roosevelt, amatissimo presidente per quattro mandati, inserirono in Costituzione il limite di due. Mentre nella Costituzione russa esiste un limite di due mandati di sei anni, ma non si applica a Putin. Cui sarebbe consentito di mantenere il potere fino al 2036, più di Stalin e secondo solo rispetto a Pietro il Grande. Dobbiamo ammettere che Zaia, con i suoi venti anni, sarebbe rimasto un modesto apprendista.