Duemila persone attraversano le strade di Padova, è quasi finito il corteo quando alcune manifestanti si staccano dal resto del gruppo. Nessuno si accorge di niente, se non chi sa già cosa sta per accadere. «Scioperiamo per lo smantellamento del welfare, per noi questo 8 marzo è riappropriarci della sanità pubblica e dei presidi territoriali», è il grido con cui centinaia di persone aprono i cancelli dell’ex consultorio di via Salerno 1, nel quartiere Sacra Famiglia.

Lo scorso 8 marzo, in occasione dello sciopero transfemminista globale, un gruppo interno all’assemblea di Non una di meno Padova ha occupato, o «liberato» come preferisce dire chi in quello spazio adesso ci sta vivendo, un edificio chiuso dal 2019. Lo stabile era stato dato in gestione all’azienda Unità sanitaria locale socio sanitaria (Ulss), ma è di proprietà dell’Ater, l’ente regionale dell’edilizia pubblica. Cinque anni fa, all’interno della «riorganizzazione» della sanità territoriale, Regione e Ulss hanno chiuso il consultorio di via Salerno spostando le sue funzioni a quasi quattro chilometri di distanza, in via Scrovegni. Di fatto un intero quartiere è stato privato di un presidio di sanità di prossimità, che non aveva solo la funzione di consultorio familiare ma anche di gestione comunale dei servizi sociali. «Questo edificio è simbolo delle scelte politiche in atto da anni nel territorio: da una parte Ater, che in tutta la città attua politiche di svendita e speculazione sul patrimonio pubblico e che è tra i responsabili della precarietà abitativa nella nostra città. Dall’altra gli interventi di cosiddetta riorganizzazione della sanità territoriale, e dunque anche dei consultori familiari», si legge nel comunicato di Nudm Padova.

Come dimostra l’ultima indagine dell’Istituto superiore di sanità, «con una sede ogni 49.817 residenti il Veneto ha una diffusione dei consultori familiari in linea con quanto stabilito dalle linee guida regionali». Ma tale valore colloca il Veneto tra le 3 realtà, insieme al Molise e alla provincia autonoma di Trento, con la più bassa diffusione di sedi di consultori sul proprio territorio nel panorama nazionale. «Abbiamo dimostrato il nostro rifiuto e la nostra contrapposizione ai tagli fatti sulla sanità pubblica in Veneto», spiega Cecilia, militante di Nudm Padova.

«Come da anni diciamo insieme alle donne di tutto il mondo, – continua – la giornata dell’8 marzo è solo un momento di visibilità di lotte che proseguono giorno per giorno nei territori e nelle vite di ciascuna. Per noi venerdì è stato il giorno zero da cui è iniziata la rinascita di questo spazio». Dentro l’ex consultorio l’assemblea di Nudm vorrebbe creare un luogo di informazione e confronto sulla salute sessuale e riproduttiva, sulla genitorialità, sulla violenza ginecologica ed ostetrica, sulle molestie sui luoghi di lavoro, sul contrasto alla violenza di genere e di accompagnamento all’Ivg. «Vogliamo ricreare tutto quello che un consultorio dovrebbe fare e che non fa più. Tutto quello che vorremmo che un consultorio facesse anche oltre alle funzioni istituzionalizzate cinquant’anni fa», conclude Cecilia. All’ingresso dello stabile una grande scritta fucsia dà il benvenuto: «La Consultoria liberata». È così che l’hanno voluto chiamare. All’interno una decina di attiviste parlano con alcune donne del quartiere. «Vengono donne di fasce di età diverse, ma più grandi di noi. Ci raccontano cos’era per loro questo consultorio prima della chiusura, ci dicono dell’amarezza di averlo visto chiudere, ma anche della gioia di poterci rientrare e la curiosità di scoprire cosa diventerà», spiegano.

Ieri pomeriggio si è svolta la prima assemblea organizzativa, aperta a tutte e a tutti, per ascoltare le esigenze del quartiere e raccogliere idee per le attività della Consultoria. Da domani si capirà cosa ne sarà di questo spazio.