«Perché è morto Ibrahim Manneh?» si chiede la comunità di migranti che ieri a Napoli in corteo è arrivata in prefettura. Il fratello, Bakary, ha sporto denuncia e si aspetta che venga fatta giustizia. Domenica scorsa Ibrahim stava male, in mattinata è andato al pronto soccorso del Loreto Mare, agli amici ha raccontato di essere stato lì due ore, gli hanno fatto una siringa e l’hanno mandato via (vedi il manifesto di ieri, ndr). Nel pomeriggio si è accasciato a terra a piazza Garibaldi, per tre volte il 118 ha rifiutato di mandare un’ambulanza, un tassista e due volanti non l’hanno aiutato. Un farmacista gli ha venduto 15 euro di medicinali che l’hanno fatto stare peggio.

Ormai non si reggeva in piedi, i dolori dall’addome si erano diffusi agli arti. Intorno a mezzanotte gli amici e il fratello lo hanno portano di peso a piazza Nazionale dalla Guardia medica, che ha chiamato di nuovo il 118. Alle 2.30 finalmente è stato ricoverato, ancora al Loreto Mare, alle 11 di mattina di lunedì il personale ha comunicato al fratello che Ibrahim era morto, solo alle 21.30 la prima succinta spiegazione: una perforazione all’addome non più operabile.

Martedì Bakary ha potuto vedere il corpo nell’obitorio dell’ospedale, presidiato dalle forze dell’ordine pronte a minacciare la folla di amici. «Faremo una colletta per la famiglia – raccontano i ragazzi dell’ex Opg Je so’ pazzo, dove Ibrahim faceva volontariato –. Siamo qui con loro, impegnati a chiedere giustizia». Kemo Ceesay divideva con Ibrahim l’appartamento di Forcella, una risposta al perché il suo amico è morto ce l’ha già: «Perché il tassista non l’ha portato al pronto soccorso? Perché era un ragazzo nero. Perché in ospedale non l’hanno curato, il farmacista non l’ha aiutato, le volanti non l’hanno accompagnato? Perché era nero. Neppure l’ambulanza viene se sei nero».

Omar viene dal Gambia, è in Italia da tre anni, è amico di Kemo e conosceva bene anche Ibrahim: «A Napoli si sta bene poi però vai a lavorare, io aiuto in una pasticceria, e ti insultano. Prego tutti i giorni di non ammalarmi perché potrei fare anch’io la fine di Ibrahim».

Solidarietà alla famiglia è stata espressa dal sindaco, Luigi de Magistris: «È dovere appurare se ci siano delle responsabilità penali nella vicenda. Non si possono negare le cure solo perché si è migranti».

[do action=”quote” autore=”Luigi de Magistris”]«È dovere appurare se ci siano delle responsabilità penali nella vicenda. Non si possono negare le cure solo perché si è migranti»[/do]

Nell’Ex Opg c’è un ambulatorio popolare, venti medici volontari e due ecografi, tra loro Martina, Mauro e Novella. Anche loro si fanno delle domande, a cominciare dal primo ingresso del ragazzo ivoriano al Loreto Mare: «Vomito e addome dolorante sono i sintomi di situazioni gravi, c’era bisogno di fare delle analisi. E poi perché il 118 non ha mandato prima un’ambulanza? La seconda chiamata è stata fatta da un farmacista, che è un operatore sanitario, in quel caso non possono rifiutarsi».

Bisogna ragionare su come è organizzata la Sanità.

«Il 118 funziona con un centro unico di smistamento – raccontano -, i tagli hanno portato a una diminuzione dei mezzi in giro. Così i soccorsi ci mettono più tempo e, nell’ordine delle priorità, magari finisci in fondo e nessuno viene ad aiutarti. L’ambulanza non è arrivata neppure per un bambino di 7 mesi morto a maggio in un centro di accoglienza di Marano».

E negli ospedali? «Ci sono i protocolli – continuano -, devi fare più accessi possibile ma devono durare il meno possibile, così l’azienda sanitaria massimizza i ricavi. Va bene se paghi il ticket e hai bisogno di una prestazione che la regione liquida con regolarità. Il resto va eliminato».

Per i migranti ci sono gli ambulatori per Stranieri temporaneamente presenti ma nessuno li indirizza.

«Il personale in ospedale non è preparato, non sa stabilire un rapporto, non sa come risolvere i problemi linguistici. Si trovano di fronte reduci da viaggi terribili che non vedono un medico da 15 anni, così se ne liberano, magari danno qualcosa per curare i sintomi e li mandano via. Sanno che non rischiano nessuna causa».

Le storture del sistema sanitario si mischiano a un sottile razzismo. Al Loreto Mare è stato ricoverato un ragazzo diciottenne della Guinea, aveva un blocco intestinale. Le analisi hanno rivelato un’opacità mediastinica, il mediatore culturale che era con lui si è battuto per un mese perché fosse fatta una diagnosi, alla fine è venuto fuori che aveva la Tbc, per fortuna non contagiosa altrimenti avrebbe avuto il tempo di infettare l’intero reparto.

All’Ex Opg invece è arrivato Chek, un ragazzo di 16 anni finito in un Cas per adulti: «Lo hanno ricoverato e dimesso in vari ospedali per 5 volte, lo curavano ma non gli facevano le analisi. Con un semplice emocromo e un’elettroforesi dell’emoglobina è venuto fuori che aveva un’anemia falciforme. Con un esame da 150 euro si è salvato la vita mentre i ricoveri inutili sono costati al servizio sanitario circa 8mila euro».

Chek poteva fare la fine di Ibrahim.