“Salì sulla mia macchina, forse scambiandola per un taxi, gridando ‘Vai vai non ho fatto niente’. Era stravolto, aveva degli occhi enormi. Mi ha dato l’impressione che avesse una paura enorme. Ecco, aveva gli occhi della paura”. Sara Cassai sta raccontando in aula d’udienza le ultime ore di Riccardo Magherini. Di una vita spezzata in una freddissima notte invernale, durante le “procedure di fermo” operate da quattro carabinieri nel pieno centro di Firenze.
I militari dell’Arma sono imputati di concorso in omicidio colposo, e in un caso di percosse per aver preso a calci un uomo già steso a terra, schiacciato al suolo con la forza, non certo in grado di nuocere. E la giovane testimone Cassai, con coraggio civile, per più di due ore risponde alle domande di pubblica accusa, difesa e parti civili. Ricordando anche di quando, alle 5.30 del mattino, i carabinieri la chiamarono per il verbale di sommarie informazioni. “Mi dissero che ci sarebbe stata una direttissima perché Riccardo aveva rubato un cellulare. Non mi dissero che era già morto. Una volta in caserma dichiarai: ‘Quando era in terra gli hanno tirato dei calci’. A quel punto il carabiniere che stava verbalizzando mi chiese: ‘Signorina, ma lo vuole scrivere dei calci?’. E io: ‘Certo’. E lui: ‘Non lo so, il verbale è suo’”.
Quella notte Sara Cassai stava tornando a casa sul suo Doblò bianco, dopo aver lavorato fino alla chiusura alla libreria caffè La Cité, in Borgo San Frediano. Vide il quarantenne Magherini inginocchiato in strada, in camicia, che gridava. Poi lui entrò in macchina, forse scambiandola per un taxi. Ma appena lei gli chiese di scendere, “per favore”, Magherini obbedì, uscendo dall’auto.
Quando arrivarono i carabinieri per fermare Magherini, Sara Cassai si era riparata dietro la sua macchina. Ora ricorda: “Ero rimasta impressionata dalla sua forza e da come, nella prima parte dell’intervento, i carabinieri avevano svolto il loro compito. Erano stati bravi, dissi in caserma quando mi convocarono. Vista la forza che aveva lui, pensai che magari gli avrebbero tirato un destro per fermarlo”. Ma quando Magherini era a terra, la ragazza aveva sentito un suo amico che diceva “i calci no”. E lei ha confermato in aula di aver visto “movimenti tali da farmi ritenere che i carabinieri stessero tirando calci”.
Nel mentre Magherini, dopo aver gridato e gridato e gridato, bloccato prono sul selciato gelido aveva iniziato ad ansimare. Poi era rimasto immobile. “Si capiva che stava male – ha ricordato la ragazza in aula – e uno dei presenti aveva chiesto: ‘Ma respira?’. Un carabiniere gli aveva risposto di sì”. Per certo, quando arrivarono tre volontari della Croce rossa – due di loro sono imputati al processo, accusati di non aver valutato tempestivamente le condizioni del fermato, tanto da non chiedere subito di togliere le manette a Magherini – questi ultimi constatarono, nonostante gli sforzi per rianimarlo, che Riccardo Magherini era morto. “Il giorno dopo – ha concluso Sara Cassai – raccontai al babbo di Magherini come si erano svolti i fatti. Gli dissi che suo figlio aveva una forza incredibile, e che i carabinieri non riuscivano a contenerlo. E che quando lo avevano messo a terra gli avevano tirato dei calci”.