Road to Peace, il cammino negoziale per uscire dalla guerra in Ucraina portato avanti da diversi paesi africani e dalla stessa Unione africana, vede ora alcuni capi di Stato del continente impegnati a Kiev e Mosca, nel bel mezzo del conflitto. Uno sforzo iniziato già nel 2022 e irto di ostacoli. Anche rivelatori.

Prima di arrivare a Kiev in treno, Cyril Ramaphosa, presidente del Sudafrica e capo delegazione (formata anche da Senegal, Zambia, Isole Comore, Egitto), è stato bloccato in aereo per ore a Varsavia (la Polonia è alleato di ferro della Nato ed è noto anche il suo atteggiamento rispetto ai migranti).

I suoi agenti di sicurezza sono stati lasciati passare solo dopo ventisei ore. In ballo, una questione di lana caprina relativa ai documenti delle armi detenute dalle guardie. Il generale maggiore sudafricano Wally Rhoode ha accusato il governo polacco di razzismo e di volontà di sabotare la missione, oltretutto compromettendo la sicurezza del presidente.

Non è andata a meglio a Kiev: all’arrivo nella capitale la delegazione africana è stata «accolta» da sirene anti-aereo e due missili. O almeno è questo che riportavano ieri le agenzie internazionali: il portavoce della delegazione sudafricana ha negato ci siano stati attacchi durante la visita.

Ramaphosa e gli altri hanno visitato Bucha, luogo di uno dei peggiori massacri compiuti dalle truppe russe, e hanno incontrato il presidente Zelensky. Atteso per oggi il vertice con il russo Putin a San Pietroburgo.