Due settimane fa esprimevamo, da queste stesse pagine, una forte preoccupazione per la Conferenza Internazionale sul Clima in corso a Katowice, in Polonia, che si era aperta in un clima politico estremamente difficile e che non prometteva risultati all’altezza dell’urgenza planetaria che stiamo vivendo. Diversi partecipanti, e tra loro anche la stessa Polonia paese ospitante, sembravano infatti intenzionati a far naufragare ogni possibile consenso sulle azioni necessarie a mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Oggi, parlando con i risultati in mano, possiamo dire che il fallimento non è stato completo, anche se non c’è da essere contenti.

Da una parte, infatti, è stato approvato e sottoscritto un accordo che indica gli strumenti tecnici di applicazione degli impegni di riduzione delle emissioni di CO2 siglati a Parigi. È indubbiamente una buona notizia, perché si tratta delle modalità operative con cui avverranno i trasferimenti di fondi a favore dei paesi in via di sviluppo e con cui verranno monitorati i passi avanti. Siccome l’assenza di regole chiare e condivise su come gli impegni politici si traducono in azioni è quasi sempre la principale causa di stallo, il testo di 156 pagine approvato all’ultimo momento utile (la conferenza si è chiusa con un giorno di ritardo proprio per consentire di arrivare a un accordo) va salutato con soddisfazione.

Detto questo, è necessario arrivare alle note dolenti. Le regole tecniche sono state una sorta di consolazione per non uscire con un nulla di fatto che, come detto, gli equilibri preannunciavano largamente. Non solo, ma l’aspetto più straniante è il fatto che, in sede di meeting, si sia messo in dubbio il rapporto dell’International Panel on Climate Change (IPCC), la più alta istituzione scientifica in materia di cambio climatico, pubblicato due mesi fa e firmato dai più autorevoli scienziati in materia. Un rapporto che oltretutto era stato commissionato proprio dai governi riuniti nella COP 21 di Parigi. In sostanza la politica (o meglio alcuni governi tra cui Usa, Arabia Saudita, Australia e Russia) ha deciso di rifiutare le conclusioni scientifiche (conclusioni che sono un grido di allarme nei confronti dello stato del nostro pianeta) perché non soddisfacevano le necessità di perpetrare l’attuale modello economico basato sui combustibili fossili. Un atteggiamento estremamente pericoloso e irresponsabile che noi come cittadini non possiamo accettare. Se il vento non cambia ci attendono tempi cupi.