Il recente lancio del missile Hwasong-15 da parte della Corea del Nord, oltre alle prevedibili reazioni diplomatiche, scomposte o meno, ha posto al centro di tutta la vicenda che ormai si protrae dallo scorso aprile la domanda delle domande, ovvero se davvero la Corea del Nord ha raggiunto uno status di potenza nucleare, come annunciato con i consueti toni esultanti dalla televisione pubblica di Pyongyang dopo il lancio.

DOPO SEI TEST NUCLEARI dal 2006 a oggi e venti missili lanciati solo quest’anno, il timore che Pyongyang possa essere a un punto di arrivo decisivo, sembra annidarsi tra le preoccupazioni di parecchie cancellerie mondiali. Il lancio del missile di qualche giorno fa, inoltre, avrebbe dimostrato una straordinaria capacità tanto nell’altezza quanto nella lunghezza del percorso; proprio questo però, secondo alcuni analisti, dimostrerebbe che la Corea del Nord non sarebbe così vicina alla possibilità di avere missili capaci di trasportare una testa nucleare.

Su 38north.org – un sito molto attento a quanto accade in Corea del Nord e capace di analizzare anche tecnicamente l’evoluzione dell’arsenale di Kim Jong-un – alcuni specialisti hanno messo in dubbio che un missile di quel genere possa trasportare un contenuto «pesante» come una testa nucleare. Secondo altri la Corea del Nord avrebbe ancora bisogno di almeno due anni prima di potersi dire dotata di capacità nucleari.

IL FISICO DAVID WRIGHT, condirettore dell’Union of Concerned Scientists, ha analizzato le caratteristiche tecniche del recente lancio e ha scritto sul sito allthingsnuclear.org che «non sappiamo quanto pesante fosse il carico che il missile trasportava, ma dato l’aumento di gittata sembra probabile che portasse una finta testata da guerra molto leggera. Se fosse vero, questo significherebbe che il missile non è in grado di trasportare una testata nucleare per una lunga gittata, perché tale testata sarebbe molto più pesante».

A CHI CONVIENE quindi supporre o paventare la minaccia di una Corea del Nord come «stato nucleare»? Innanzitutto, naturalmente, converrebbe a Pyongyang. Kim Jong-un sa bene che la capacità nucleare significherebbe potersi sedere a un eventuale tavolo negoziale partendo da una posizione di estrema forza, senza temere che il suo percorso nucleare possa ormai essere ostacolato.

DAL PUNTO DI VISTA INTERNO, inoltre, il giovane dittatore nord coreano arriverebbe dove neanche suo padre e suo nonno erano mai riusciti ad avvicinarsi. Sarebbe il vero vincitore dell’intera contesa.

In qualche modo anche a Trump e a Shinzo Abe conviene paventare il rischio nucleare, pur senza formalizzarlo, portando così la tensione a montare in un’area nella quale tanto il Giappone quanto gli Stati uniti hanno importanti interessi e obiettivi da ottenere, specie in funzione anticinese. Per Abe significherebbe anche facilitare la propria politica interna revisionista, per Trump significherebbe continuare a spingere sull’accelleratore della vendita di armi a tutta l’area. Tutto questo non tiene conto – però – di chi in Asia si fregia ancora di «dare le carte», ovvero la Cina.

LA POSIZIONE DI PECHINO, anche dopo il lancio notturno e nonostante la nuova richiesta di aumentare ancora la pressione su Pyongyan con nuove sanzioni (le precedenti però già rasentavano il massimo cui Pechino pare potersi spingere), rimane quella di provare a risolvere tutto in modo diplomatico.
La missione del proprio emissario però non deve essere andata in modo oltremodo positivo: non sono seguiti comunicati ufficiali e anzi, è arrivato proprio il lancio del missile. Quanto a nuove sanzioni, come chiesto da Tillerson, non ci sono segnali che la Cina sia disposta a proporne.