Impressiona che la grande maggioranza di governi latinoamericani e praticamente la quasi totalità di quelli europei abbiano aderito alla politica violenta e interventista di Donald Trump nei confronti del Venezuela.

È evidente: l’Europa non ha mai smesso di essere alleata degli statunitensi sullo scacchiere mondiale. Non si è liberata del «fantasma sovietico», nella versione aggiornata del «fantasma Putin», come capro espiatorio per giustificare un’alleanza – in posizione subordinata – con Washington. Nemmeno il fatto che Trump maltratti tanto l’Europa ha provocato nei governi del Vecchissimo continente un minimo sussulto di orgoglio.

E COME SE non bastasse l’offensiva dei governi di destra contro il Venezuela, anche il governo socialdemocratico della Spagna e perfino quello di centrosinistra del Portogallo (ne fanno parte anche il Partito comunista e il Blocco di sinistra) hanno riconosciuto quel presidente di destra che gli Stati uniti cercano di imporre al Venezuela.

In America latina cercano di resistere Messico, Uruguay, Bolivia, ma l’adesione al riconoscimento del presidente della destra è ampiamente maggioritaria, per non parlare degli atteggiamenti apertamente bellicosi di alcuni paesi, fra i quali la Colombia. L’annunciata operazione dell’avvio, attraverso la frontiera fra Venezuela e Colombia, di aiuti umanitari portati da militari statunitensi e colombiani, un pretesto per l’ingresso di truppe straniere nel paese, è un ulteriore tentativo di coinvolgere settori delle Forze armate in un’operazione politica contro il governo in carica. Ma conferma che l’opposizione e Washington sono convinti che, senza divisioni all’interno dell’esercito, Nicolás Maduro rimane saldamente al governo.

LA RIUNIONE di domani 7 febbraio a Montevideo, promossa da Messico e Uruguay, cercherà una soluzione politica al conflitto. L’ex presidente uruguayano Pepe Mujica ha proposto nuove elezioni in Venezuela senza la partecipazione né di Maduro né di Guaidó, dando per scontato che il paese non voglia andare avanti con la situazione attuale, che nessuno dei due abbia oggi la capacità di governare stabilmente il paese, e che la minaccia di intervento militare sia reale e imminente.

Il problema principale di questa proposta, che si proporrebbe di ottenere un quadro internazionale di consenso, è che probabilmente sarà respinta da entrambi gli interessati. Nel frattempo la proiezione della situazione attuale non permette di prevedere niente di buono per il Venezuela. Non è possibile andare avanti con l’attuale crescendo della tensione, mentre la situazione interna è condizionata negativamente dai fattori esterni. Né è possibile proseguire con la escalation di manifestazioni interne, con il paese in bilico, in attesa di una soluzione magica che non esiste.

TUTTE LE FORZE e le persone interessate a una soluzione democratica della crisi venezuelana devono manifestare una chiara condanna delle minacce militari da parte degli Stati uniti e dei loro alleati. Da quello scenario può derivare solo il peggio per il Venezuela. Non è possibile che istituzioni che sono state democratiche si limitino ora a rivendicare i diritti dell’opposizione, e a chiedere una soluzione negoziata per la crisi, senza partire in modo netto ed evidente dalla condanna delle aggressioni esterne.

La riunione del 7 febbraio potrebbe dunque essere l’ultima possibilità per costruire il consenso intorno a una soluzione democratica alla crisi. L’ipotesi peggiore è che in quella sede si mostri inflessibilità e, come dice Mujica, si ritenga possibile che una delle due parti trionfi azzerando totalmente l’altra. È un’ipotesi che può portare solo all’intensificarsi della tensione e a prolungare e peggiorare la crisi.

LA RIUNIONE del gruppo di contatto può constatare che l’appoggio a un governo sostenuto dagli Stati uniti è un passo avanti verso una deflagrazione generalizzata. Ma per superare questo quadro negativo occorrono soluzioni politiche; tutti devono dimostrare di volere una via d’uscita pacifica e politica. Con il coinvolgimento delle parti si deve arrivare a una proposta che permetta di porre fine alla crisi più profonda e duratura che il Venezuela abbia mai conosciuto. Una crisi che, se persiste, può portare alla distruzione materiale e istituzionale del paese.

(*) Filosofo, sociologo e politologo brasiliano, fra gli organizzatori del Forum sociale mondiale