Come non fossero bastate l’eco delle proteste studentesche, la contestazione contro le guerre oltremare e una convention democratica nuovamente prevista per Chicago, sono tornate le pallottole a gettare l’America in un vortice spaziotemporale che sembra aver riaperto il capitolo del decennio più turbolento.

Ma diversamente dai Sixties, su questa torrida e convulsa estate 2024, che sembra carambolare senza freni verso fatidiche presidenziali, incombe tuttora un demagogo e aspirante tiranno che potrebbe segnare il capitolo più infausto della repubblica.

I proiettili sparati ieri in Pennsylvania contro Trump hanno riaperto la pratica sanguinosa di una storia che ha visto attentati a 11 dei 46 presidenti del paese, quattro dei quali morti sotto i colpi di assassini (Lincoln, Garfield, McKinley e John F. Kennedy), senza contare i numerosi altri politici, candidati e figure pubbliche falciate da pallottole (fra cui Robert Kennedy, Martin Luther King, Malcolm X).

Una politica mortale torna ad agitare gli incubi di una nazione armata fino ai denti.

Da venerdì scorso, per dire, in tre stati, Oklahoma, Texas e Alabama, è possibile acquistare munizioni da distributori automatici in supermercati a orario continuato. Anche dopo i fatti di ieri però, è escluso che gli acerrimi sostenitori del porto d’armi che affollano i comizi di Trump accettino qualsivoglia nesso di causalità con la violenta epidemia.

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Ora è toccato a Donald Trump, il più divisivo personaggio della moderna era americana, colui che ha fatto del rancore e della recriminazione, dell’astio elevato a ragion di stato, la propria cifra (post) politica e il carburante del proprio culto personale.

Il primo pensiero di molti è andato all’inevitabile vantaggio che ne trarrebbe il candidato che ha fatto di un attentato annunciato il tema fisso di una campagna improntata alla caratteristica miscela destrorsa di vittimismo e aggressività.

Solo cinque giorni fa, Trump aveva ripetuto su Fox News che l’eventualità di un attacco terrorista nel prossimo futuro era “certa al 100%”.

Molto deve ancora essere rivelato su identità e moventi dell’attentatore di Butler, ma è assodato che non si tratta di uno dei “violenti immigrati” con il “lasciapassare di Biden” cui Trump addossava preventivamente la colpa.

Resta il fatto che il candidato GOP, graziato da una manciata di millimetri, esce certamente rafforzato dall’episodio, come lo fu Reagan dopo i colpi di John Hinckley nell’81, e forse più vicino alla soglia di una nuova presidenza. C’è addirittura chi ha voluto evocare il “momento Reichstag”, riferendosi all’uso strumentale dell’incendio del Parlamento tedesco per consolidare il potere nazista nel 1931.

Ci sarà modo di misurare l’effetto “martirio” di un candidato che ai suoi sostenitori ama dire: “Vi vogliono morti, ma davanti ci sono io!”. Lo storico presidenziale Douglas Brinckley segnalava ieri che “c’è qualcosa nello spirito americano che trova irresistibile il coraggio e la forza sotto pressione, e quell’immagine diventerà un simbolo”.

In quel canone ora entra una foto iconica come l’alzabandiera di Iwo Jima: Trump, pugno alzato in segno di sfida, volto sporco di sangue con stelle e strisce al vento sullo sfondo. La foto di Evan Pucci dell’Associated Press è degna di un’inquadratura di John Ford.

Una foto già iconica: Donald Trump circondato dagli agenti dei servizi segreti pochi istanti dopo l'attentato a Butler in Pennsylvania il 13 luglio 2024
Una foto già iconica: Donald Trump circondato dagli agenti dei servizi segreti pochi istanti dopo l’attentato a Butler in Pennsylvania, il 13 luglio 2024, foto di Evan Vucci /Ap

E sono già state stampate le T-shirt commemorative, giusto in tempo per la Convention che inizia domani, lunedì.

L’incoronazione di Milwaukee promette ora di trasformarsi in trionfo dai toni mistici, con i delegati che già offrono messe di ringraziamento per l’intercessione divina. In un’altra singolare eco storica, Theodore Roosevelt venne ferito a fucilate proprio a Milwaukee nel mezzo di una campagna per tornare a sedere nello studio ovale, nel 1912.

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Dopo quella di Biden, di Obama e di tutta la politica americana, la solidarietà intanto sta arrivando dai leader del mondo intero. Oltre agli auguri di guarigione, si tratta di un coro universale di biasimo per la violenza, esemplificato dalla dichiarazione del Presidente Mattarella che considera l’attentato “motivo di grave allarme e forte indignazione.” “La violenza – ha aggiunto il capo dello stato – che, da qualche tempo, ha ripreso a manifestarsi in ambito politico è uno sconcertante sintomo di deterioramento del tessuto civile e del pericoloso rifiuto del confronto, del dialogo, del rispetto della vita democratica”.

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Nel coro c’è tuttavia chi ha ceduto a elaborazioni più taglienti. Netanyahu che ha parlato di “attentato alla democrazia americana”. Lo slovacco Robert Fico, reduce lui stesso da un evento analogo, ha esplicitamente collegato l’attentato alla campagna degli “avversari politici” di Trump.

Testo a parte per il Cremlino, che attraverso il portavoce Dmitry Peskov ha addossato la responsabilità direttamente “all’atmosfera creata dall’amministrazione (Biden, nda) attorno al candidato Trump”.

Ma, al di là delle illazioni azzardate, è stato semmai proprio lo stesso trumpismo a irrorare di violenza la politica nazionale, intridendo una retorica maccartista di “immigrati criminali,” “democratici traditori,” “antiamericani woke” fino a rispolverare un repertorio da ventennio popolato di “vermi e parassiti” da estirpare come nemici della patria. Un ethos già culminato nell’assalto violento al Parlamento del 6 gennaio 2021.

La violenza ha di fatto saturato l’era trumpista.

Dal 2016 ad oggi si sono registrati almeno 16 stragi di matrice variamente estremista di destra, fra cui la sparatoria anti immigrati di El Paso (23 morti nel 2019), il raduno neonazista di Charlottesville (una vittima nel 2017), sparatorie in sinagoghe in Pennsylvania e California (12 morti nel 2018 e 2019), l’attentato suprematista a Denver (45 morti nel 2021), la strage razzista di Buffalo (10 morti nel 2022) e quella anti LGTBQ in Colorado lo stesso anno (5 vittime).

La violenza è dunque già da tempo fattore quotidiano, come ha ricordato il parlamentare democratico Jamie Raskin, denunciando le liste di proscrizione pubblicate la scorsa settimana da Ivan Raiklin, ex agente dei servizi e autoproclamato “ministro dell’epurazione” di Trump, che nel novero di coloro che “dovranno preoccuparsi di gravi conseguenze” dopo l’insediamento di un neo rieletto Trump, ha inserito politici, giornalisti e “traditori”.

Robert Reich, politologo progressista di Berkeley, ricorda intanto come il numero delle minacce di morte ricevute da parlamentari sono salite da circa 900 nell’ultimo anno di Obama (2016) a 9.700 alla fine del mandato Trump (2020).

Unica certezza per ora è che l’attentato renderà più arduo ancora prevedere le dinamiche di un momento “esistenziale” e davvero senza precedenti per il paese e il resto del mondo.