«Liana amatissima, mia gioia, mia vita, c’è una grande sete nel mio cuore, in questo momento, e una grande serenità. Non ti vedrò più Liana, mi hanno preso, mi fucileranno. Scrivo queste parole sereno d’animo, e col cuore spezzato nel medesimo tempo per il dolore che proverai.
Ti ho detto stasera prima di partire: Liana, io ho tanta voglia di riposare vicino a te, io riposerò vicino a te, sulla tua spalla, nel tuo animo, ogni notte per tutta l’eternità. Mio bene, tanto cara, ho mille scuse da chiederti per le gentilezze che non ho avuto per te, che meriti tanto per tutto…
Pino è stato pure preso e fucilato prima di me. Prega per noi due amici uniti anche nella morte. È morto con dignità e mi ha salutato con uno sguardo in cui era tutta la sua vita. Spero di morire anch’io, di fare il grande viaggio, serenamente. La mia ultima parola sarà il tuo nome, il nome che è inciso sulla fede che ti mando. Tu parlerai alla mamma mia, tu la consolerai se sarà possibile, povera vecchia: povera cara mamma! E la zia e il fratello Luigino; a Marietta dirai che il mio affetto di fratello ingigantisce in questo momento. Consolatevi: la vita ha di queste improvvise rotture. I tuoi di Modena, la mamma, il babbone, la Cesira in modo particolare, Tonino, Margherita mi sono tutti presenti. Di’ a Tommaso che sarà come se fossi presente al Battesimo del suo piccolo. Ricordatemi al caro Rino…Vieni soltanto di tanto in tanto sulla mia tomba a portarvi uno di quei mazzettini di fiori campestri che tu sapevi così bene combinare. Addio, debbo salutarti, cara e tanto amata: non m’importa di perdere la vita perché ho avuto il tuo amore prezioso per quasi tre anni ed è stato un grande dono. Muoio contento per essermi sacrificato per un’idea di libertà che ho sempre tanto auspicata.
Metto la mia firma e sulla fede i miei ultimi baci.
Tuo per sempre, Giovanni».

Questa lettera è stata scritta da Giovanni Battista Vighenzi alla moglie Liana Sacchetti la notte tra il 26 e il 27 aprile 1945. La giornata del 26 si era avuto a Rodengo Saiano, nel bresciano, uno scontro tra le SS tedesche e la formazione partigiana delle Fiamme Verdi capeggiata da Sandro Biloni, il nome di battaglia che Vighenzi si era dato. Settantadue tedeschi sono fatti prigionieri. Nel pomeriggio Vighenzi si reca a Rovato, un paese vicino dove egli era nato, per organizzare rinforzi. Al rientro a Saiano, verso le nove e mezzo della sera, viene catturato dalle SS che operavano al comando del maggiore Thaller e che, nel frattempo, avevano riguadagnato terreno. Con altri partigiani (tra questi Giuseppe Caravello, Giovanni Ceretti, Pino Malvezzi) ristretto nella Villa Fenaroli requisita da Thaller, è interrogato e torturato. Saranno fucilati all’alba.

Vighenzi ha trentasei anni. È nato a Rovato nel 1909. Svolge il suo servizio militare, ufficiale di complemento, a Firenze. Si laurea nel 1940 a Bologna in Scienze economiche. Di lui si conservano manoscritti e appunti di studio e un saggio dattiloscritto sulla filosofia di Benedetto Croce. Un articolo inviato ad una rivista giovanile francese, è l’unico suo scritto pubblicato. Era membro del Comitato di liberazione nazionale fino dal dicembre del 1943. Nel suo ruolo di segretario comunale di Rodengo Saiano, da allora, operava segretamente con i gruppi partigiani senza lasciare il suo impiego (anzi, traendone certo, all’occasione, vantaggi preziosi ai fini della lotta clandestina), ed aveva saputo svolgere mansioni direttive delicate e di rilievo nell’opera cospirativa, senza indurre in sospetto gli amministratori e i funzionari nominati dalla Repubblica Sociale, i militari e le Camice nere fasciste e gli occupanti tedeschi, con i quali la sua mansione di segretario comunale lo teneva a contatto.

Nelle ultime parole scritte pochi minuti prima dell’esecuzione, Sandro Biloni e Giovanni Battista Vighenzi sono un tutt’uno e lo sono con Pino Malvezzi e gli altri, Caravello e Ceretti: «Pino è stato pure preso e fucilato prima di me (…) due amici uniti anche nella morte. È morto con dignità e mi ha salutato con uno sguardo in cui era tutta la sua vita. (…) Muoio contento per essermi sacrificato per un’idea di libertà che ho sempre tanto auspicata».