Emergenza profughi: la Germania punta altri 40 milioni di euro sui rimpatri volontari. Da ieri nei 16 Land tedeschi è ufficiale l’incentivo di 1.200 euro a ogni rifugiato che accetta di lasciare per sempre il Paese. Quattro volte la cifra stanziata finora per smaltire gli oltre 300 mila richiedenti asilo del 2016 e ultimo «appello all’intelligenza e alla ragione dei migranti con scarse possibilità di accoglimento dello status di protezione» secondo il ministro dell’interno Thomas de Maizière della Cdu.

Da qui il programma «Jump Start Plus»: il salto all’indietro verso lo Stato di origine finanziato dal governo destinato ai profughi dai 12 anni in su. Con buona pace del nome è la sola «valida alternativa all’espulsione» ammettono al dicastero per la sicurezza di Berlino.

Sovvenzione dedicata ai migranti con o senza le carte in regola. «Il bonus di 1.200 euro viene concesso a chi accetterà il rimpatrio prima del termine della procedura di asilo, mentre ne sono previsti 800 nel caso la domanda sia stata respinta e il titolare rinunci a ricorrere in appello» sintetizzano al ministero dell’Interno.

L’obiettivo è accelerare i tempi, snellire le pratiche, svuotare i centri-rifugiati allestiti in hangar, scuole, palestre e ostelli. Il metodo, aumentare le partenze volontarie: nel 2016 sono salite a 55 mila, erano meno di 40 mila del 2015. Escludendo solo i Paesi insicuri. Più o meno.

Il 25 gennaio De Maizière ha dettagliato il rapporto sul «rimpatrio collettivo» a Kabul di 25 afghani provenienti da Baviera, Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Amburgo. Una goccia nel mare di profughi dell’Afghanistan che, dopo la Siria, rimangono stabilmente al secondo posto nella lista degli arrivi (154 mila nel 2015, tra cui 32 mila richiedenti asilo, 49 mila nel 2016). Ma anche la prova pratica dell’efficacia delle dichiarazioni congiunte «per la cooperazione sull’immigrazione» come quella firmata il 2 ottobre 2016 da Berlino e Kabul.

A bordo del volo di ritorno degli ex-profughi un funzionario Frontex, tre rappresentanti del comitato tedesco anti-tortura oltre ai medici. Pugno di ferro con guanto di velluto: l’anno scorso il governo Merkel ha «convinto» così ben 3.300 afghani a tornare a casa.

Misure mirate, come l’incentivo varato ieri che non a caso esclude i cittadini dei Balcani occidentali. «Per prevenire eventuali abusi» è il motivo ufficiale del veto alla «promozione» che integra il programma «Reintegration and emigration for asylum-seekers». Fino all’altro ieri il piano si limitava a finanziare il rimpatrio volontario in oltre 40 Paesi offrendo 200-500 euro a profugo. Troppo poco per arginare la marea umana che sceglie la Bundesrepublik come destinazione finale. L’11 gennaio l’Ufficio federale per l’immigrazione (Bamf) ha conteggiato 695.733 domande «lavorate»: più 146% rispetto al 2015.

Solo a dicembre 2016 il Bundesamt tedesco ha esaminato 80.638 richieste mentre il numero di cause pendenti superava quota 430 mila. Un peso insostenibile: l’anno scorso la Germania ha speso oltre 21,7 miliardi per la gestione dell’emergenza-migranti; per il 2017 il governo federale ne prevede altri 21,3, da investire meglio che in passato. Missione affidata alla nuova responsabile del Bamf: Jutta Cordt, classe 1963, giurista indipendente dai partiti, già commissaria dell’ente, entrata in carica proprio ieri. A lei la tattica per prevenire il default del sistema di accoglienza nazionale certificato due anni fa. Il piano strategico invece resta saldamente nelle mani della cancelliera Angela Merkel attesa oggi in visita di Stato ad Ankara, la prima dopo il putsch contro Erdogan. Mutti visiterà gli edifici danneggiati dai golpisti ma al contempo chiederà la fine immediata della persecuzione ai fedeli del predicatore Gülen in Germania.