Per fortuna che c’è Ignazio La Russa, voce di dentro e di fuori del governo della Fiamma, presidente del senato talmente super partes da essersi autonominato giudice della politica, della cronaca, della storia e anche del festival di Sanremo.

Dunque: per la prima volta grazie all’avvento di Fdi a palazzo Chigi, rivendica La Russa tra una considerazione sul televoto taroccato e un suggerimento per l’edizione 2025, il festival non è stato «sfacciatamente di sinistra». Ma Amadeus ha sbagliato perché «di fronte a un cantante che ricorda il dramma dei palestinesi io avrei ricordato anche coloro che sono tenuti in ostaggio dai terroristi di Hamas» e perché è stato bravo a parlare delle Foibe ma avrebbe dovuto accusare i «comunisti».

Per fortuna però Amadeus ha deciso da solo che il suo ciclo festivaliero si è concluso e non c’è bisogno di invocarne la cacciata. L’attuale amministratore delegato di viale Mazzini è stato indicato dal governo in carica e quindi ha svolto egregiamente il suo compito: ha fatto irruzione via comunicato stampa a Domenica in per esprimere solidarietà a Israele dopo l’invettiva dell’ambasciatore contro lo «stop al genocidio» pronunciato da Ghali.

E Mara Venier, tra un «Ghali ti amo», un «siamo tutti per la pace» e un semi attacco di panico di fronte alla scaletta che le sfuggiva da tutte le parti (ci si è messo pure Dargen D’Amico con le sue considerazioni sui migranti) è riuscita quasi supplicando a chiudere baracca e burattini in fretta e furia leggendo diligentemente il comunicato dell’ad e assicurando che «siamo tutti d’accordo» pure con l’ad (non ha aggiunto «io speriamo che me la cavo», ma è molto probabile che lo abbia pensato).

La redazione consiglia:
L’Ariston alla prova dei nostri tempi accontenta solo a metà

Potrebbe finire qui, grazie al «riequilibrio», come certifica anche Antonio Tajani, ministro degli esteri e delle comunicazioni in tempo di guerra. Non c’è bisogno di tirare la polemica troppo per le lunghe, neanche si trattasse di un bacio tra Rosa Chemical e Fedez o di Blanco che prende a calci un tappeto di rose recise. Anzi, la destra (a parte il solito Gasparri che quando si parla di Rai attacca a prescindere) sembra proprio volerla chiudere qui, e non solo per mettere al riparo TeleMeloni e i suoi vertici che non sono riusciti a telecomandare il sovversivo Amadeus .

Peccato però che il «cessate il fuoco» e il «ci sono bambini sotto le bombe, senza acqua, senza cibo, il nostro silenzio è corresponsabilità» di Dargen D’Amico, lo «stop al genocidio» di Ghali abbiano messo alle corde una politica dal fiato corto e un’informazione che quando non viene imbrigliata è capace benissimo da sola di autocensurarsi. Però capita che l’acqua non si fermi con le mani, l’attivismo politico, le informazioni, le idee riescono a viaggiare anche per canali che non si possono controllare neanche volendo e a irrompere anche dove si pretenderebbe il controllo più occhiuto.

E a nulla servono i riflessi pavloviani e i comunicati riparatori. «Per cosa dovrei usare questo palco? Io sono un musicista e ho sempre parlato di questo da quando sono bambino», «le persone sentono che perdono qualcosa se dicono ’viva la pace’, non deve succedere questo… ci sono bambini di mezzo…», spalanca gli occhi e le braccia Ghali in diretta su Raiuno davanti a milioni di telespettatori. Non è il bambino che dice che il re è nudo. Non è una maschera da riporre al suo posto passato il carnevale e torniamo al solito tran tran.

È un artista seguitissimo, ha milioni di follower, testimonial di marchi e multinazionali, attivista per la Palestina non dall’altroieri. Ha fatto entrare il mondo dentro un bolla che si pensava a prova di bomba. Ed è partita la contraerea.