Prima c’era QQ, poi c’è stato Weibo. Ma tutto è stato spazzato via da WeChat (in cinese Weixin, «micromessaggi»), solitamente definita – in modo decisamente riduttivo – la WhatsApp cinese. Ma è una semplificazione che non rende giustizia a un’applicazione che se in Cina è ormai usata da chiunque, in Europa cerca un’altra strada, all’interno però di una visione molto diversa, perfino filosoficamente, dalle logiche occidentali.

A chi sta per andare in Cina, di solito si dice: «Devi scaricarti WeChat».

In Cina ormai si fa tutto con WeChat; si tratta di un’applicazione che costituisce un mondo che risulta essere molto più complesso di un social network, come siamo abituati a concepirlo in Occidente: si chiacchiera, ci si messaggia e ci si chiama gratuitamente, si possono postare foto e commenti sulla bacheca, si può giocare attraverso la piattaforma di giochi elettronici. In pratica è una summa degli elementi classici dei social networks come siamo abituati a conoscerli in Occidente.

Ma con WeChat si pagano anche i taxi e altri servizi, si effettuano transazioni, si compra on line, si prenotano servizi, si comprano le bibite alle macchinette, ci si scambia QR code, novella modalità di conoscenza sociale. Questi servizi fanno si che attualmente sia usata da oltre 760 milioni di persone in Cina, ogni giorno.

Di recente – a Shenzhen, nel sud della Cina – sul proprio account di WeChat si riceve anche la patente di guida. È un mondo, una porta di ingresso ai servizi, tanto per i consumatori, quanto per le aziende. In Cina WeChat gestisce un milione di transazioni economiche al minuto: è vero che in Cina vivono oltre un miliardo di persone, ma si tratta di numeri imponenti.

In Europa WeChat, una creatura del colosso Tencent che in Cina è ormai un’azienda che abbraccia business e credito, ha deciso di lasciare, sostanzialmente, a WhatsApp il mercato dei consumatori, per specializzarsi nel business to business. Servizi alle aziende, in grado però di rispecchiare, come accade in Cina per i consumatori, la filosofia che guida l’app: una porta per un mondo.

Un sistema ontologico, sostanzialmente, che finisce per creare un ecosistema che riguarda le «piattaforme» come siamo abituati a conoscerle in Occidente. In occasione del EY Strategic Growth Forum Mediterranean organizzato a Roma da EY, un incontro tra leader di mercato, imprenditori, innovatori e rappresentanti del mondo accademico e istituzionale provenienti da Europa, Medio Oriente, Nord Africa e Cina, abbiamo incontrato Andrea Ghizzoni, Director per l’Europa di WeChat.

Intanto, come si vive in Europa la concorrenza con WhatsApp? 

Andrea-Ghizzoni
Andrea Ghizzoni, Director per l’Europa di WeChat

Ormai ci rivolgiamo a mercati diversi,  il nostro modello è più simile a quello di una consulting, più un’agenzia di comunicazione più un system integrator, interamente verticale su un solo mercato e su un solo media: la piattaforma WeChat in Cina. Questo è il modello più vicino a quanto facciamo, attraverso dei partner naturalmente.

Quello che succede è che i nostri clienti sono principalmente dei retailer, perché hanno un punto di contatto fisico, dalla moda al turismo.

Noi gli diamo la possibilità di comunicare con clienti cinesi, gestire l’account e di pagare attraverso WeChat pay, gestendo transazioni cross border perché in Cina noi siamo anche istituto di credito. Tutto il percorso di acquisto avviene su WeChat, tanto per clienti in Cina quanto per visitatori cinesi in Italia.

Quali sono i prossimi sviluppi in Occidente dell’app?

L’Italia è stato il test di questo modello ed è stato il paese di maggior successo nel 2016: per questo la volontà è quella di applicarlo su altri paesi europei.

Chiaramente nei paesi asiatici è diverso, la cultura è più affine, per quanto riguarda il resto del mondo quanto fatto in Italia risulta essere il modello più efficace. Come sviluppo l’aspirazione è arrivare ad avere un portale a scala, specie per la pubblicità.

Quindi advertising, pagamenti e a breve anche e-commerce, grazie all’investimento fatto da Tencent in JD.com. Il loro posizionamento in Cina – specializzato ad esempio sulla politica contro i falsi – si parla molto bene con un concetto di vendere attraverso canali affidabili in Cina. Con questa partnership il sistema è importante e completo.

Noi siamo la porta per il mercato cinese, specie alla luce di clamorosi fallimenti, basati sul fatto che un prodotto italiano debba per forza piacere ai cinesi, o sull’errore che essendo oltre un miliardo di consumatori basta prenderne una fetta: ma non funziona così.

Noi arriviamo fino a un certo punto, perché lavoriamo con dei partner. Ad esempio in alcuni casi vengono consigliati altri sistemi, ma per noi va bene uguale, importante è avere successo, poi, sul mercato cinese, tanto da WeChat per arrivare in Cina ci devi passare. Con le dimensioni che abbiamo lì, per avere successo devi passare da WeChat.

Questo passaggio mi pare si inserisca all’interno del discorso sul «capitalismo delle piattaforme» dimenticandoci del social network come attività di svago, qui parliamo di «porte» a mondi complessi. 

È vero, ma ci sono varie declinazioni. Innanzitutto la concorrenza con i giganti dell’Occidente è ancora distante perché il mercato consumer è totalmente polarizzato. In Cina ti dicono che Facebook non fa quello che fa WeChat, qui ti dicono il contrario, quindi è abbastanza difficile farsi male ora come ora. Io credo ci possa essere un confronto di altro tipo.

Noi abbiamo lanciato alcune mini-app. Dentro WeChat posso avere dei miniprogrammi, ad esempio di tipo finanziario, come quella che abbiamo lanciato di recente. Si tratta di un’app tutta on line scritta con codice nostro, che risiede sui nostri server. Di fatto WeChat diventa uno «store».

Allora il confronto sarà con Apple e Android.

Le aziende devono capire come funzionerà, perché il servizio è stato appena lanciato e ha bisogno di tempo ma questo sarà il confronto del futuro.

Apple oggi ha due concorrenti: Facebook in occidente e WeChat in Asia. Sono due «animali» che insistono sulla stessa piattaforma. A questo proposito c’è un’importante differenza tra WeChat e il «modello occidentale»: dimentichiamoci la censura, è la Cina, lo sappiamo come funziona. Lasciamo un attimo da parte questo particolare: a livello privato quando un’azienda sbarca su Facebook o su Google, loro forniscono i dati degli utenti che l’azienda proverà a raggiungere, loro profilano e vendono i dati.

Tencent ha sviluppato WeChat in modo opposto: io tengo i dati per me su una base utenti per targetizzare al meglio gli utenti in funzione della vendita di pubblicità, ma non faccio profiling da vendere a clienti terzi.

Quando l’azienda apre l’account su WeChat e acquisisce followers, dei followers non sa niente. Di contro tutto quello che fa l’utente, noi come WeChat lo eliminiamo ogni 5 giorni. Se tu azienda vuoi, però, lo tieni e lo lavori.

Agli occhi occidentali è assurdo, ma la strategia è di successo perché non diamo alcun alibi per dire «su WeChat non ci vengo».

Se tu sei un brand e vieni da Wechat, io ti consento l’accesso a chiunque abbia uno smartphone, ti permetto di usare una piattaforma praticamente gratis, una piattaforma di e-commerce e il customer care perché puoi gestire tutto one to one.

Quindi se vuoi arrivare al mercato cinese, perché devi fare un’app? Perché devi fare un sito? Stai su WeChat, tanto più che i dati sono tuoi, a noi non interessano.

Perché non dovresti usarmi? Infatti lo usano tutti senza paura, perché dietro a tutto c’è una visione infrastrutturale, su Wechat cammina un’economia completa. E non solo: a Shenzhen la patente da parte degli uffici pubblici è sul tuo profilo personale di WeChat.

Una infrastruttura di un paese su un environment: è chiaro che poi avrai dei controlli, ma ci sta. Di fatto stai creando un mondo.