Uno spazio chiuso e claustrofobico, una resa dei conti, le apparenze che ingannano, la sopravvivenza appesa a un filo: The Elevator di Massimo Coglitore (arrivato nelle sale dopo quattro anni) ci porta da subito nello spazio del genere, il thriller – in questo caso psicologico, rinchiuso appunto fra le quattro strette pareti dell’ascensore del titolo. Produzione e regia italiane ma cast anglofono – i protagonisti Jack e Katherine sono lo statunitense James Parks e l’inglese Caroline Goodall – e ambientazione americana, anche se New York appare solo nei titoli di testa, prima che la storia venga rinchiusa nell’ascensore del signorile palazzo di Jack.

LUI È UNA STAR della tv, presentatore di un programma a premi, Three Minutes, che fa il verso a Chi vuol essere milionario – all’apparenza non un divo capriccioso ma un uomo buono e gentile. Lei lo intrappola nell’ascensore del palazzo e lo obbliga – con la minaccia di tagliargli un pezzo alla volta – a una versione sadica del suo stesso quiz. Perché lo vuole vedere soffrire?

Il regista si serve dell’escamotage dello spazio chiuso per portare in primo piano il tormento dei protagonisti – anche dell’aguzzina Katherine della quale il film svelerà com’è immaginabile le motivazioni – e The Elevator prende le distanze dal gore di horror «da camera» come Saw – L’enigmista proprio per puntare sull’aspetto psicologico: l’odio, la vendetta, la paura della morte. Ma la suspense non decolla mai veramente, imprigionata in uno sviluppo troppo prevedibile e penalizzata dagli stessi attori, che non sembrano crederci troppo (e il doppiaggio come sempre non aiuta). Né viene in soccorso il lato «impegnato» di The Elevator, anche una condanna del potere cinico e indifferente alla vita umana dei soldi. «Ispirato da una storia vera» si legge infatti all’inizio – e la storia vera non è naturalmente quella di Jack e Katherine e il loro reciproco ruolo di vittima e carnefice ma la compravendita degli organi umani. Per i più ricchi, un bene di consumo come tanti.