Ignazio Visco lascia la guida della Banca d’Italia dopo 12 anni con un discorso sul contenimento del debito pubblico e sulla necessità di non fare tagli disastrosi alla spesa sociale com’è accaduto nella crisi precedente (2007-9). L’equazione, descritta ieri durante un intervento lungamente applaudito dall’assemblea delle Acri durante la 99esima giornata mondiale del risparmio, è difficile da realizzare. Lo ha detto lo stesso governatore quando ha ricordato che, nel recente passato, i tagli hanno «compromesso la qualità della spesa pubblica e la sua capacità di sostenere la crescita». Visco ha chiesto al governo – presente nella stessa assemblea nella persona del ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti – di compiere «scelte sulla base di priorità ben definite», indirizzano le risorse sempre più scarse, in un’economia stagnante e orientata al ribasso, «verso quegli investimenti che il settore privato non potrebbe porre in atto». Citando Keynes, ad uso dei cultori, a tale proposito Visco ha ricordato che la cosa più importante per un governo «non è fare ciò che gli individui fanno già, e farlo meglio op un po’ peggio, ma fare ciò che non si fa del tutto».

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Parole che inevitabilmente sono state lette nella prospettiva della legge di bilancio che inizia un percorso blindato in parlamento. I «tagli» che Visco ha invitato ad evitare sono, presumibilmente, quelli già previsti dal governo: tagli lineari alle spese dei ministeri e privatizzazioni da 20 miliardi in tre anni. Le stesse pratiche, fallimentari, adottate nella crisi precedente e riproposte dal governo Meloni.

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È interessante anche un’altra valutazione di Visco sull’andamento del debito pubblico dopo il 2026. «Allora – ha detto – sarebbe pari a poco meno del 140 per cento del Pil. Dopo, in assenza di interventi, il rapporto rischierà di salire». Una stima che non coincide con quella avanzata dal governo secondo il quale, tra tre anni, il debito dovrebbe iniziare invece una discesa. Difficile, del resto avventurarsi in queste valutazioni, visto che lo stesso esecutivo è stato già costretto a modificare le prospettive di una crescita esposta alle policrisi del capitalismo e agli effetti depressivi delle politiche monetarie restrittive della Bce che sta azzerando le spinte residue della ripresa post-covid al fine di domare l’inflazione. Per Visco è «saggia» la decisione di mantenere alti i tassi a lungo. Con un debito «non in equilibrio» è possibile che una crescita non si otterrà attraverso «il finanziamento di investimenti produttivi in capitale fisico, umano e tecnologico». Quello di Visco è un auspicio sul quale calano le ombre del «Piano di ripresa e resilienza» (Pnrr) in alto mare.
Giorgetti, nel suo intervento, ha riproposto l’immagine di un governo impotente che oscilla tra entusiasmi infondati e un panico per i mercati. «Il debito è il nostro punto debole – ha ammesso – È suonata la sveglia» E ha aggiunto che tale realtà non sarebbe «chiara agli attori politici e sociali». Gli stessi potrebbero ricordare chi sono stati i principali beneficiari delle politiche di austerità e quelli che godono per l’inflazione da profitti. Gli stessi che il suo governo tutela.