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Crepa poeta! è il titolo della nuova raccolta di Stefano Raspini, figura ormai mitica dei poetry slam e dell’underground poetante italiano (Argolibri, pp. 120, euro 12). Raspini lascia che la poetessa e curatrice Rosaria Lo Russo – autrice anche della postfazione critica – raccolga e scelga parte del suo incandescente «versificare» quotidiano riversato per un paio di anni nella piazza virtuale di Facebook; un «versificare scritto» che è l’esatto rovescio della medaglia dell’oralità degli slam.

RASPINI SI SCAGLIA violento e preciso contro il cosiddetto «poetese», – o lingua dei poeti edificanti da casa editrice, – sovvertendolo in nome di altitudini metaforiche e liriche sempre performative, capaci di superare in furore e acrobazia tante esperienze surrealiste, futuriste o di altre avanguardie o neoavanguardie ormai storiche.
«Mi ha invaso il tuo amore / mi immergo come in una lava tiepida / nel vulcano del sentimento / non brucio che di forza placida e silenziosa / l’universo è ai miei piedi / tu lustri le medaglie sul mio petto / in questo eterno tempo di pace».
Il Raspini orale degli slam «è il poeta naïf in versione bambino incazzato», scrive Rosaria Lo Russo, «ma la sua rabbia non fa paura, è catartica, fa ridere a crepapelle». «Il primo giorno di pioggia / alzarono il ponteggio sbattendo / le ali con convinta rassegnazione / presero le madonne / sul tetto intente a scappare…»
Nell’apparente sproloquiare della produzione scritta, invece, Lo Russo rileva uno stile più letterario, «con metafore straboccanti, deliziose, ironiche, strazianti». «Sai che mi frega di dante petrarca neruda / io cerco un lavoro non di colmare il nulla con parole di panna».
Nel suo errare da un palco e da un libro all’altro, come nel suo versificare eclettico e inarrestabile, Raspini può ricordare il Campana dei Canti orfici. O l’Antonio Delfini delle Poesie della fine del mondo che voleva portare il surrealismo a Modena e gridava «diamo fuoco al piano padano».

NON È UN CASO, allora, che Crepa poeta! sia pubblicato da Argolibri, stesso editore dell’opera omnia di Corrado Costa e tanti altri sperimentatori italiani. Né è casuale che si chiuda una ballata: «Ci sarebbe se ci fossi stata sempre / un solo pianeta / senza frontiere / senza la pelle dei camaleonti coltivati in serra. / Ci fossi stata sempre / non ci sarebbero troni edificanti / da tonnellate di neuroni uccisi / per dare fiato ai preti / ai generali / ai possidenti di terreni iniqui / consegnati all’eterno monopolio / dell’ignoranza / nel catasto / mai censito del potere perpetuo. / (…) Ci fossi stata sempre / come ora ci sei / Anarchia».