Tra i pochi ricordi danteschi che ognuno di noi, fosse anche lo studente più indisciplinato, porta con sé dagli anni di liceo, c’è sicuramente l’aneddoto delle femminette di Verona, le quali sedute un giorno presso una porta e vedendo sfilare davanti a loro Dante, commentarono: «Donne, vedete colui che va ne l’inferno e torna quando gli piace, e qua su reca novelle di coloro che là giú sono?», citando, a riprova, «la barba crespa e il color bruno per lo caldo e per lo fummo». Sembra che all’udire quelle parole, «conoscendo che da pura credenza delle donne venivano», il poeta sorridesse divertito, «quasi contento che esse in cotale oppinione fossero». Forse non tutti ricordano che l’aneddoto è riferito dal Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante, quella che va considerata la prima vera e propria biografia del poeta. Il Trattatello può essere letto ora accanto a un buon manipolo di antiche ‘vite’ dantesche e in edizione criticamente sorvegliata nel vol. VII/4 della NECOD – Nuova edizione commentata delle Opere di Dante: Le Vite di Dante dal XIV al XVI secolo. Iconografia dantesca, a cura di Monica Berté e Maurizio Fiorilla (pp. XCII-488, con 64 pp. di tavole a colori f.t., Salerno editrice, € 59,00).

Il poderoso Zingarelli
L’impresa di riunire assieme le principali testimonianze antiche sulla vita di Dante era stata gloriosamente condotta a termine ai primi del novecento dal letterato ligure Angelo Solerti nell’ambito della Storia letteraria d’Italia Scritta da una Società di Professori, che anche aveva visto pubblicato il poderoso Dante di Nicola Zingarelli. Il Solerti si era impegnato sui tre fronti delle biografie di Dante, Petrarca e Boccaccio; per Dante aveva raccolto oltre trenta testimonianze, in latino e volgare, dal Trecento al Cinquecento, provvedendo in alcuni casi a estrarre le informazioni dalle opere dei commentatori della Commedia. Questa nuova edizione, pur ispirandosi all’impresa del Solerti, ha operato una saggia e avveduta selezione limitandosi alle sette biografie di maggiore rilievo: dal Trattatello del Boccaccio, appunto, al Dante Alighieri dell’erudito cinquecentista Marcantonio Nicoletti, escludendo i commenti danteschi. Fa in un certo senso eccezione l’excerptum biografico di Giovanni Villani, incastonato nella sua Nuova cronica di Firenze, sia perché esso rappresenta certamente il primo tentativo di redigere una vita del poeta (ma sulla stesura, come avvertono puntualmente i due curatori, è doveroso mantenere molta prudenza), sia perché a esso risulta inscindibilmente legato il successivo De vita et moribus Dantis del nipote Filippo Villani.

Che apporto offrono oggi?
Ci si potrà allora chiedere quale apporto possano offrire allo studioso di Dante biografie condotte con criteri che oggi a noi paiono non più accettabili e che si configurano spesso come delle costruzioni di tipo romanzato, a evidente scopo celebrativo. Ebbene, al di là dell’indiscutibile valore letterario che in alcune pagine del Boccaccio risulta evidente anche al lettore più distratto (e si rilegga la fabulosa ed evocativa narrazione del primo incontro tra Dante e Beatrice durante la festa di Calendimaggio), questi biografi condussero spesso un lavoro di ricognizione che sorprende ancora oggi, senza contare che per l’altezza cronologica in cui scrissero essi poterono in qualche caso contare su informazioni che non sono più reperibili. Sono informazioni da vagliare e controllare alla luce di ulteriore documentazione, certamente, ma non da scartare a priori. Se è dunque vero, come ben chiarito dai curatori nell’introduzione al volume, che nessuno dei biografi successivi appare indipendente dal Trattatello del Boccaccio e sono pochi gli aneddoti e le novità che possono offrirci, nella penuria di documenti anche a essi occorre guardare con attenzione.
Un paio di esempi: nel Trattatello, la cui prima redazione risale agli anni Cinquanta del Trecento, il Boccaccio fornisce l’identificazione di Beatrice con la figlia di Folco Portinari. La notizia era già reperibile nei commenti alla Commedia del fiorentino Andrea Lancia e di Pietro Alighieri, figlio del poeta. Lancia e Boccaccio furono a Firenze nello steso tempo ed è dunque possibile che le informazioni fossero passate dal primo, che scrive negli anni Quaranta, al secondo. E tuttavia nelle Esposizioni all’Inferno stese vent’anni dopo il Boccaccio aggiunse ulteriori dettagli e, quasi a difendere la genuinità delle proprie fonti di informazione, chiarì che le notizie su Beatrice provenivano da «fededegna persona». Studi successivi hanno mostrato come adiacente alle case Alighieri tenesse bottega una certa Lippa de’ Mardoli, parente di Beatrice e madre della matrigna del Boccaccio, spesso citata nei documenti d’archivio assieme al padre del Boccaccio: è probabilmente lei la persona che rivelò a Boccaccio le notizie su Beatrice.

Lettera lunga e magra
L’umanista Leonardo Bruni, che stese la propria biografia nel 1436, fece a tempo a vedere «alcune epistole» stese dalla mano stessa di Dante e definisce «la lettera sua magra e lunga e molto corretta». Di alcune di esse riferisce anche i contenuti, per noi rilevantissimi, come della lettera in cui Dante offre il resoconto della battaglia di Campaldino del 1289 cui prese parte come equitator (sul fatto che fosse effettivamente feditore a cavallo nella prima schiera, come insinua il Bruni, sono stati sollevati recentemente alcuni dubbi), oppure di quella in cui si rivolge al Popolo di Firenze chiedendo di essere riammesso in patria dall’esilio e di cui Bruni riporta l’esordio altamente impostato sull’eco del profeta Michea («Popule mee, quid feci tibi?»). È un’epistola, questa, che ha dato molto da pensare tra Otto e Novecento, specie ai dantisti mal disposti ad accettare un Dante che chiedesse perdono o quanto meno si umiliasse a rivolgere una simile richiesta ai concittadini. Oggi si guarda con più fiducia alle testimonianze del Bruni e se ne valuta più serenamente anche la curvatura ideologica. L’umanista si mostra perfettamente informato anche su aspetti di carattere topografico, quando localizza senza esitazione le case degli Alighieri e quelle dei loro antenati Elisei, notizie che trovano puntuale conferma in altri commentatori indipendenti e anteriori a Bruni, e anche nei dati documentari esibiti dalla recente edizione NECOD del Codice Diplomatico Dantesco.
Per quanto riguarda l’edizione, i due curatori non si sono limitati a un mero aggiornamento della vecchia raccolta del Solerti, ma hanno rivisto puntigliosamente tutti i testi provvedendo in alcuni casi a migliorarne la lezione tramite il confronto diretto con i manoscritti, forti della propria esperienza di editori di testi antichi volgari e latini. Ogni biografia è corredata da un apparato di note puntuale e aggiornatissimo che raffronta le notizie con le altre fonti disponibili: documenti d’archivio, cronache e altri commentatori danteschi. La generosità dispiegata a beneficio del lettore è a dir poco encomiabile. Questa nuova raccolta va dunque presa come necessario e futuro punto di riferimento per chiunque voglia occuparsi in modo sistematico della biografia del poeta, fornendo un vademecum chiaro e meditato di quanto di meglio la critica dantesca abbia messo a disposizione degli studiosi fino a oggi. Un’ultima e necessariamente breve menzione merita la seconda parte del volume dedicata all’Iconografia dantesca, per cura di Sonia Chiodo e Isabella Valente. Quello delle effigi dantesche è un argomento in cui i filologi si avventurano raramente e malvolentieri, spinoso e dibattutissimo a partire dal primo e più discusso ritratto del Bargello e dagli studi pionieristici del dantista americano Charles Eliot Norton, ma è argomento che coinvolge aspetti non irrilevanti della stessa biografia come quello relativo al rapporto tra Giotto e Dante stesso. La sezione iconografica è dunque al tempo stesso complemento prezioso per il lettore ma anche strumento necessario per il ricercatore.