Guidata passo passo dagli Stati uniti, l’opposizione venezuelana dice no a ogni possibilità di dialogo. «Si può negoziare solo l’uscita dalla dittatura, affinché avvenga in maniera democratica e ordinata», ha dichiarato Carlos Vecchio, l’incaricato d’affari nominato a Washington da Juan Guaidó.

RIBADENDO quanto già annunciato dall’autoproclamatosi presidente ad interim, Vecchio ha sottolineato la necessità di respingere «falsi» negoziati, avendo Maduro, a suo dire, «manipolato a lungo la parola dialogo per dare ossigeno al suo regime». E se non è questo ciò che hanno riferito i mediatori del processo negoziale nella Repubblica Dominicana (fatto saltare all’ultimo dall’opposizione dopo una telefonata proveniente dalla Colombia), è chiaro che per gli Stati uniti l’unica via possibile è il golpe e che, di conseguenza, Guaidó e i suoi compari non possono che recitare questo copione.

[do action=”citazione”]Per sabato 2 febbraio sono attese nuove manifestazioni di piazza, sia da parte dell’opposizione che da parte chavista. Ieri mobilitazione flop per Juan Guaidó a Caracas[/do]

Manifestazione pro Guaidò a Caracas, foto Afp

 

 

 

 

 

 

 

«TUTTI I VENEZUELANI devono restare uniti e premere, fino alla rottura finale del regime», ha dunque scritto Guaidó in un suo intervento pubblicato dal New York Times, tornando a chiedere «fine dell’usurpazione, governo di transizione ed elezioni libere».

Eppure, a livello globale, la pista del dialogo non è stata di certo abbandonata, come indica la convocazione da parte del Messico e dell’Uruguay di una conferenza internazionale a Montevideo, il 7 febbraio, al fine di «definire le basi per stabilire un nuovo meccanismo di dialogo che, con l’inclusione di tutte le forze venezuelane, aiuti a restituire la pace e la stabilità in quel paese». A prendervi parte, secondo la nota del ministero degli Esteri uruguayano, saranno «più di dieci paesi e organismi internazionali», tutti schierati su «una posizione di non intervento», accompagnata dalla «preoccupazione per la situazione dei diritti umani in Venezuela».

UNA LINEA, QUESTA, ben distinta da quella seguita da Francia, Spagna e Germania (a cui si sono allineati diversi paesi europei), con il loro ultimatum di 8 giorni rivolto a Maduro perché accetti elezioni «eque, libere, trasparenti e democratiche» (scaduto il quale i tre paesi riconosceranno Guaidó come presidente ad interim). Una misura contestata da più parti, soprattutto in Francia, dove i gilet gialli, su Twitter, hanno annunciato di avere assunto la presidenza del paese dando a Macron «una settimana di tempo per convocare nuove elezioni, approvare il Ric (il referendum di iniziativa civica) e rispondere dinanzi al popolo per la repressione sofferta sotto il suo mandato».

[do action=”citazione”]Per il 7 febbraio è annunciata a Montevideo la conferenza internazionale sul Venezuela voluta da Messico e Uruguay per «definire un nuovo meccanismo di dialogo»[/do]

Ma né i problemi interni al vecchio continente né il ben diverso trattamento riservato da Stati uniti ed Europa a paesi a bassa o bassissima intensità democratica hanno impedito all’europarlamento di approvare, con 439 sì, 104 no e 88 astensioni (tra cui quelle dei 5stelle, della Lega e del Pd), una risoluzione non vincolante che riconosce Juan Guaidó come presidente legittimo ad interim del Venezuela. Non senza un’esortazione all’Alto rappresentante della Ue per gli affari esteri Federica Mogherini e agli Stati membri a fare altrettanto fino a quando non saranno indette nuove elezioni presidenziali libere, trasparenti e credibili.

A NON RICONOSCERE GUAIDÓ come presidente è tuttavia proprio la maggioranza del popolo venezuelano: solo piccoli gruppi di persone hanno preso parte alla manifestazione convocata mercoledì dal presidente fantoccio, senza creare il minimo disagio al traffico e alle normali attività di Caracas.
Si replica sabato, con manifestazioni a favore tanto di Guaidó quanto di Maduro. Ma sulla piazza, contrariamente a quanto passa sui giornali e a quanto annunciano inverosimili sondaggi, a vincere finora è stato il popolo chavista.