Proprio come nel famoso detto di Confucio, il governo Maduro, seduto la lungo la riva del fiume, ha aspettato e ha finalmente visto passare il cadavere del suo nemico. Se sulle reti sociali l’ironia riguardo all’assalto a Capitol Hill nel primo paese esportatore al mondo di democrazia è stata incontenibile, è di certo con profonda soddisfazione che deve essere stato redatto il comunicato, pur assai sobrio, con cui è intervenuto sui fatti statunitensi il Ministero degli Esteri venezuelano, nel segno implicito di un altro calzante proverbio: chi di spada ferisce, di spada perisce.

«Con questo deplorevole episodio, gli Stati uniti soffrono loro stessi quanto hanno provocato in altri paesi con le loro politiche di aggressione», si legge nel comunicato, condiviso su Twitter da Maduro senza ulteriori commenti. E insieme alla condanna della «spirale di violenza» che «non fa che riflettere la profonda crisi attualmente attraversata dal sistema politico e sociale statunitense», è venuto anche il magnanimo auspicio che «per il popolo statunitense possa finalmente aprirsi un nuovo cammino verso la stabilità e la giustizia sociale».

SE LA REAZIONE DEL GOVERNO bolivariano era prevedibile, sorpresa e perplessità ha causato invece l’intervento del leader di estrema destra Juan Guaidó, il quale, diversamente da Bolsonaro, rimasto fino all’ultimo fedele a Trump, non ci ha pensato un attimo a voltargli le spalle: «L’attacco al Campidoglio è un attacco alla democrazia. Il mio pensiero va ai cittadini e ai dirigenti che sentono il proprio paese aggredito alla radice».

Ma se, scaricando l’antico burattinaio, la marionetta Guaidó ha chiaramente cercato di ingraziarsi quello nuovo, contando sulla condanna bipartisan del governo Maduro da parte della classe politica statunitense, l’opportunismo e l’ipocrisia dello screditato leader dell’opposizione non serviranno ad arrestarne la rovinosa caduta, accompagnata oltretutto da accuse di malversazione e scandali vari. Confinato ormai da lungo tempo in una dimensione meramente virtuale – quella del «governo per internet» preso di mira anche da una parte dell’opposizione – Guaidó ha ormai perso anche quest’ultima.

 

I deputati neo-eletti di fronte all’Assemblea nazionale di Caracas (Ap)

 

Con l’insediamento, il 5 gennaio, della nuova Assemblea nazionale (An), ora totalmente controllata dal chavismo, il leader dell’opposizione più radicale non può più infatti spacciarsi come presidente ad interim, essendo quell’autoproclamazione legata al suo passato ruolo di presidente dell’An.

SE NE È ACCORTA ANCHE L’UNIONE europea che, in un calibratissimo comunicato del 6 gennaio, ha, sì, ribadito la sua condanna del governo Maduro, parlando del Parlamento eletto nel 2015 come dell’«ultima espressione libera dei venezuelani in un processo elettorale», ma ha implicitamente negato la continuità della presunta presidenza ad interim di Guaidó, definendolo di fatto come rappresentante «dell’Assemblea nazionale uscente».

Se Guaidó non sembra avere più cartucce da sparare, può tuttavia rallegrarsi dell’enorme danno inflitto alla rivoluzione bolivariana dall’embargo da lui propiziato, in termini non solo di crollo delle entrate (passate dai 56 miliardi di dollari del 2013 ai 500 milioni del 2020), ma anche di arretramento su posizioni sempre più nettamente capitaliste.

Ed è infatti di «paralisi del progetto socialista di Chávez» che parla l’intellettuale cileno Manuel Cabieses, evidenziando, al di là della difesa di conquiste come educazione e salute gratuite, la strategia del governo di puntare sull’ingresso di capitali privati, nazionali e stranieri, nelle più diverse aree dell’economia.