Il dialogo tra il governo Maduro e l’opposizione venezuelana sta cominciando a dare frutti. E il primo di questi frutti è decisamente di grande portata: la decisione dell’opposizione radicale riunita nella Plataforma Unitaria di partecipare alle elezioni municipali e regionali del prossimo 21 novembre, sotto il cappello della Mesa de la Unidad Democrática, ponendo fine all’ormai sistematico boicottaggio elettorale da parte dell’estrema destra.

Ad annunciarlo, in un comunicato diffuso martedì sera, sono stati i portavoce della Plataforma, tra cui il segretario generale di Acción Democrática Henry Ramos Allup, il quale ha precisato che la decisione è stata assunta dopo «un’analisi cosciente e approfondita» e ha ricevuto «l’assenso degli Usa, del Canada e dell’Unione europea». Punto, quest’ultimo, su cui c’è ben poco da dubitare, considerando l’obbedienza dell’estrema destra alle direttive di Washington.

«Participare alle elezioni non significa legittimare il governo», ha tenuto a rimarcare il leader di Acción Democrática: «c’è un regime de facto e ci siamo noi che esigiamo i nostri diritti», ha proseguito Ramos Allup, non senza descrivere il processo elettorale del 21 novembre come «un terreno di lotta utile ad aprire la strada a elezioni presidenziali libere e giuste».

Adottata dopo tre anni di assenza dalle elezioni da parte del cosiddetto G4 (Acción Democrática, Primero Justicia, Un Nuevo Tiempo e Voluntad Popular), la decisione risente del nuovo clima suscitato dal processo di dialogo avviato ufficialmente il 13 agosto a Città del Messico con la mediazione della Norvegia e del Messico, e di cui domani si svolgerà il secondo round negoziale, durante il quale il governo chiederà la restituzione dell’oro sequestrato dalla Banca di Inghilterra e la revoca di tutte le sanzioni.

Una decisione, quella della Plataforma Unitaria, che è stata salutata con particolare soddisfazione dal presidente Maduro, il quale ha definito le elezioni del 21 novembre come «un trionfo totale nel quadro della cultura politica, democratica e inclusiva del chavismo. Nessuno potrà pensare di prendere il potere senza passare previamente per le urne».

E gli ha fatto eco il presidente dell’Assemblea nazionale Jorge Rodríguez, capo della delegazione governativa nel processo di dialogo a Città del Messico, evidenziando come «la resistenza della popolazione, dopo tanti appelli a invasioni e misure coercitive», abbia scongiurato qualsiasi alternativa alla «via costituzionale e democratica».

A tenersi il più possibile defilato, insistendo piuttosto sull’assenza di garanzie elettorali, è stato invece Juan Guaidó, malgrado la decisione del suo partito, Voluntad Popular, di partecipare alle elezioni. E proprio sull’ex autoproclamato presidente ad interim – il cui mantra su «fine dell’usurpazione, governo di transizione ed elezioni libere» aveva finora vanificato ogni ipotesi di dialogo – Maduro non è riuscito a trattenere una battuta: «Mi siederò in poltrona con i popcorn a vedere Juan Guaidó quando andrà a votare il 21 novembre e applaudirò, perché siamo riusciti a ricondurlo di nuovo sulla via democratica».

Tra gli oppositori del governo, però, non tutti l’hanno presa bene. Sulle reti sociali, infatti, non sono mancate le critiche alla destra radicale, accusata di aver legittimato, con la sua decisione, l’azione della «dittatura bolivariana»: «Maduro starà morendo dal ridere. Un altro punto per il regime». E ancora: «L’opposizione si è accordata con il regime, ci sarà festa elettorale e tutti felici e contenti. Ma per i cittadini comuni la fame e la disoccupazione continuano».