La famosa «maggioranza trasversale», incubo dei centristi di governo che temono l’asse tra il Pd e il Movimento 5 Stelle sul disegno di legge per le unioni civili, si è materializzata ieri mattina in commissione giustizia al senato durante uno dei primi voti sugli emendamenti. È così passata una «premessa» all’articolo 1 che riconosce «le unioni civili tra persone dello stesso sesso» come una «specifica formazione sociale». I senatori «alfaniani» del gruppo Ncd-Area popolare, in testa il pasdaran Carlo Giovanardi, si sono astenuti (mossa che a palazzo Madama equivale al voto contrario), mentre i grillini hanno votato a favore.
In realtà con nove rappresentanti in commissione il Pd può contare su una maggioranza autonoma, la novità dell’appoggio grillini (e anche del rappresentante del gruppo di Fitto, ex Forza Italia) ha un valore tutto politico, e toglie al partito di Renzi ogni alibi nel portare avanti il provvedimento. Tantopiù che il voto di ieri pur essendo contestato dai centristi e dal Forza Italia – che immediatamente hanno preso ad agitare i fantasmi del «matrimonio gay, utero in affitto, bambino come merce ed educazione gender obbligatoria» – rappresenta in realtà un compromesso promosso dall’ala cattolica del partito democratico. La nuova formula «specifica formazione sociale» sostituisce quella originariamente prevista nel disegno di legge Cirinnà che parlava di «istituto giuridico originario» e sposta le Unioni civili sotto l’ombrello dell’articolo 2 della Costituzione (quello che garantisce i diritti dell’uomo sia come singolo che, appunto, nelle formazioni sociali) da quello dell’articolo 29 (che «riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»). L’ostacolo più grande per il disegno di legge resta quello dell’ostruzionismo degli alleati di governo di centrodestra. Ieri sono stati votati 9 emendamenti e circa 150 sono stati dichiarati decaduti, ne restano ancora dieci volte tanti. Le votazioni riprendono martedì, il governo ha intenzione di portare la legge in aula prima della sessione di bilancio, che comincia a metà ottobre, ma non prima della riforma costituzionale che è più indietro (riprende l’8 settembre con ancora audizioni) ma che si avvia a scavalcare la commissione per arrivare subito in aula.