L’omaggio più struggente alla Notre Dame di Victor Hugo lo fa in Holy Motors Leo Carax, film di fantasmi e di folgorazioni nel quale il «mostro» (Denis Lavant) porta con sé nei sotterranei (il tombino della fogna) la «bella» (Kylie Minogue) come un Quasimodo con la «sua» Esmeralda. Notre Dame, la cattedrale, non c’è: gli innamorati si inseguono per dirsi addio sui tetti dei magazzini Samaritaine, sull’altra sponda del Pont Neuf.

Ma anche quando non entra nell’inquadratura Notre Dame è una presenza che permea l’orizzonte con una strana inquietudine che rimanda alla sua distruzione. Forse è perché le cattedrali quali opere dell’ingegno, proprio come noi stessi, sono destinate a sparire – come diceva Welles/F for Fake davanti a quella di Chartes. O forse è l’immagine stessa di Notre Dame scaturita dalle pagine di Victor Hugo (il romanzo è pubblicato nel 1831), un affresco che l’ha avvolta nei secoli esaltandone il lato funereo: romanticismo contro classicismo, la violenza metafisica dell’edificio gotico, quasi una tomba verticale nella quale il terribile arcidiacono Frollo condanna alla sofferenza e alla morte l’indifesa Esmeralda davanti agli occhi dolenti di Quasimodo.

DOSTOEVSKIJ scrisse la prefazione all’edizione russa di Notre Dame de Paris evocando i tormenti che lo attraversano. E in Victor Hugo architecte Eric Rohmer – con la voce di Antoine Vitez (1969) ci mostra la relazione intima e profonda tra la cattedrale, la sua architettura e le visioni della scrittore, gli schizzi e i progetti, quelle strane creature – da gargoyles ai Gremlins di Joe Dante.
«L’anima di Parigi si infiamma quando suonano le campane di Notre Dame» canta Clopin, re della Corte dei miracoli in Il gobbo di Notre Dame versione animata della Dinsey (1996). E Julie Delpy, sussurra a Ethan Hawke in Prima del tramonto (2004) nel passaggio (quasi) obbligato di quella che è la loro infinita traversata sentimentale:«Devi pensare che Notre Dame un giorno non ci sarà più».

LA PRIMA a portare sullo schermo il Gobbo di Notre Dame è anche la prima donna della storia del cinema, Alice Guy-Blanché (Esmeralda, 1905). Ne seguiranno molti altri, nel 1923 Lon Chaney deformato da trucco e protesi è The Hunchback of Notre-Dame (regia di Wallace Worstley), quasi un precursore degli horror della Universal in una Parigi oscura e medievale tutta di studio. Dieterle nel 1939 (per Rko) dirige una nuova versione con Charles Laughton e una giovanissima Maureen O’Hara, e nel 1956 il «testimone» passa a Jean Delannoy che affida il tumulto di passioni a Gina Lollobrigida e a Anthony Quinn.

Notre Dame però non è solo l’amore impossibile del Gobbo e di Esmeralda. È un segno, un’icona dell’immaginario:la sua sagoma accompagna Leslie Caron e Gene Kelly (Un americano a Parigi, 1951), osserva gli inseguimenti tra Audrey Hepburn e Cary Grant (Sciarada, 1963), è il sogno vagheggiato di una Midnight in Paris. Eterna, fuori dal tempo: un universo.