Riccardo Magi, deputato radicale di +Europa, lei ha votato la fiducia al governo Conte ma si distingue subito su questa riforma che pure era nel programma. Come lo spiega?
Sono stato relatore di minoranza per la prima lettura alla camera e non ho cambiato il mio giudizio fortemente negativo. Nelle ultime settimane da punto 10 dell’accordo della maggioranza giallo-rossa questa riduzione dei parlamentari è diventata il primo obiettivo dell’azione di governo. Io ricordo i colleghi M5S citare addirittura Calamandrei e la sua indicazione che i banchi del governo dovrebbero restare vuoti quando si discute una riforma costituzionale. Per altre ragioni resto convinto che la nascita di questo governo sia stato un atto di legittima difesa da un’aggressione ancora maggiore allo stato di diritto.
Meno deputati e meno senatori non possono effettivamente lavorare in modo più efficiente?
Questo, insieme alla riduzione dei costi, è il principale argomento dei favorevoli alla riforma, ma del tutto infondato. È falso sostenere che oggi vi sia un problema di efficienza del parlamento dovuto al numero eccessivo di parlamentari. Chiunque conosca un minimo il funzionamento delle nostre istituzioni sa benissimo che ci sono già tutti gli strumenti regolamentari per garantire la rapidità di approvazione delle leggi quando questa è richiesta. Il problema semmai è assicurare al parlamento tempi adeguati per l’esame di provvedimenti importanti, una condizione che sempre più spesso viene a mancare, si pensi a quanto accaduto con l’ultima legge di bilancio che in due giorni ha sorvolato la commissione competente ed è arrivata in aula per un esame lampo e alla cieca. Con questa riforma non si dà alcuna risposta alla crisi del parlamento e della nostra forma di governo di cui è sintomatico l’eccessivo ricorso ai decreti e alla fiducia, mentre ci si immola sull’altare della retorica contro la casta.
I radicali hanno una tradizione di battaglie contro i costi eccessivi della politica, non la convince neanche questo argomento?
80-100 milioni l’anno possono essere tanti o pochi, dipende da cosa si guadagna o si perde. Io vedo una perdita netta di rappresentatività e di democrazia del nostro sistema, meno pluralismo. Credo avesse ragione Umberto Terracini a definire questo argomento «debole e facilone» già in Assemblea Costituente. Peraltro nessuno pensa che a un numero ridotto di parlamentari servirà una struttura maggiore. Per questo mi auguro che una parte dei «risparmi» sia utilizzati per rafforzare le prerogative e dotazioni di singoli deputati e senatori e per affrontare con regole analoghe ai parlamenti europei il tema della disciplina dei collaboratori parlamentari.
I contrappesi che annunciano i partiti di maggioranza non le paiono sufficienti? O non la convince lo strumento del documento politico di intenti?
Entrambe le cose: non sono reali correttivi, alcuni sono toppe peggiori del buco. Con la totale equiparazione dell’elettorato attivo e passivo di camera e senato avremo un bicameralismo «perfettissimo», l’opposto dei tentativi di specificare la rappresentanza e le funzioni della seconda camera; allora che senso ha mandare lì i presidenti di regione per discutere di autonomia? La sfiducia costruttiva pone altri problemi di coerenza con il nostro ordinamento, ad esempio rispetto al ruolo del presidente della Repubblica. E poi sono tutte cose scritte sull’acqua, la sola cosa certa è la resa al più becero e ottuso antiparlamentarismo.
Fatto il taglio, secondo lei quale legge elettorale andrebbe prevista? Una legge maggioritaria non avrebbe l’effetto di mortificare ulteriormente la rappresentanza?
La rappresentanza è mortificata principalmente dalla eccessiva riduzione dei parlamentari per di più suddivisi in due camere; su questo la Corte costituzionale aveva messo in guardia già nel 2018. Sembra obbligato un ritorno al proporzionale, ma in realtà già oggi abbiamo un sistema su base proporzionale che assegna un terzo dei seggi con la competizione nei collegi uninominali. Sento parlare di un doppio turno nazionale e vedo il rischio dell’ennesimo ircocervo elettorale italiano. Sarei più favorevole ad andare nella direzione del sistema francese, si tratterebbe però di una riforma non solo elettorale ma della forma di governo. Torniamo alle considerazioni iniziali: non mi pare ci siano le condizioni per un confronto costituente di questa portata.