Il giorno dopo il nostro articolo (il manifesto, gennaio) a favore di una lista per l’ «Altra Europa», è stato pubblicato l’appello di Barbara Spinelli ed altri per una lista alle elezioni europee, a fianco di Tsipras, i cui contenuti non possiamo che condividere: l’analisi sulle responsabilità delle oligarchie e tecnocrazie europee, la critica delle politiche di austerità, la segnalazione dei contraccolpi populisti e xenofobi sono assolutamente anche i nostri.

Come sono anche nostre le opinioni già espresse nel nostro articolo sulle novità positive rappresentate da Tsipras e da Syriza: una critica dell’austerità non contro l’Europa, ma in nome di un’altra Europa sociale, democratica e dei diritti.

Proprio perché condividiamo tutti i contenuti dell’appello non comprendiamo francamente la necessità di imporre agli eventuali candidati eletti in questa lista l’appartenenza al gruppo del Gue, il Gruppo della Sinistra Unita, un gruppo dai molti meriti, ma anche con molte contraddizioni – di cui ha fatto le spese anche Syriza . Un gruppo di cui fanno parte alcuni partiti che sono pregiudizialmente antieuropei (da tempo e non per causa dell’austerità) e altri che ancora non hanno fatto i conti fino in fondo con la storia drammatica del comunismo del ’900. Senza contare che oggi le famiglie politiche europee – dal Gue al Pse fino ai Verdi – si stanno ridefinendo e interrogando sulle loro identità e non sono da scartare possibili scenari di rimescolamenti e contaminazioni. La priorità oggi è impedire che anche nel parlamento europeo si riproponga lo schema delle “larghe intese” intorno alle politica della austerità, non l’identità fragile di appartenenze in crisi. Il rischio delle “larghe intese” a Bruxelles – a causa della ventata populista e dell’eventuale esclusione della sinistra radicale dal parlamento europeo – va evitato, superando le reciproche rigidità.

Non si capisce perché – di fronte ad una lista che potrebbe avere molte anime e ispirazioni, comunque antiliberiste e alternative all’austerità – non si possa invece prevedere una libertà di scelta degli eventuali candidati eletti, anche preventivamente dichiarata. Su questo punto, le argomentazioni di Monica Frassoni sono giuste e convincenti. Non si capisce perché una lista che vuole essere e può essere di società civile, di movimenti, di personalità chiuda il suo appello così condivisibile su una formula così perentoria già prima di ogni possibile discussione tra chi lo sostiene. Si rischia una scelta che chiude e non apre, che esclude e non include.

Invece noi avremmo bisogno di includere, a maggior ragione dopo la proposta di riforma elettorale, una riforma che rischia in continuità con il porcellum di sacrificare la rappresentanza sociale in nome di una governabilità dei “più forti”: questa controriforma elettorale richiede oltre al contrasto e ad una battaglia democratica per riaprire spazi e diritti di scelta, anche un accumulo di forze e culture capaci nel rispetto e nell’ascolto di superare vecchi fantasmi e rancori.

Altrimenti, a sinistra del Pd, al parlamento europeo il 25 maggio non ci andrà nessuno. E così diventeranno dieci gli anni di assenza della sinistra radicale da Strasburgo e Bruxelles.

Ci sono basi comuni per unire forze, persone e gruppi, pratiche di movimento unite da un comune impegno contro le politiche liberiste e dell’austerità e per la costruzione di un’Europa sociale, democratica, ecologicamente sostenibile, del lavoro e dei diritti. Oggi in Europa, domani in Italia. Sarebbe il momento di abbassare l’asticella per permettere a tutti coloro che sono animati da questo comune impegno di superarla e di mettersi insieme.

Per questo “in modo ostinato e contrario” alla rassegnazione alla realpolitik dei veti incrociati e delle manovre insistiamo e proponiamo a tutti i protagonisti di vederci ed incontrarci nei prossimi giorni a Roma per andare oltre i nostri limiti. Evitando in questo modo di continuare a marciare divisi, con 3-4 liste alla sinistra del Pd, nessuna della quale raggiungerà il 4%. Non è il modo migliore per aiutare Tsipras nella battaglia in cui è impegnato.

Non è il modo migliore per dare voce e rappresentanza a tutti quelle donne e quegli uomini dei movimenti che rischiano di essere cancellati dal bipolarismo senza rappresentanza sociale. Sarebbe solo un modo per continuare a farsi del male. Fermiamoci!