Ci sono solo due cose certe: la lettera di risposta alla Commissione europea verrà spedita oggi, perché non rispondere sarebbe uno sgarbo troppo clamoroso, ma non conterrà quel che la Commissione chiede. Non verranno elencate, esposte nel dettaglio, le misure che il governo italiano intende assumere per recuperare i 3,4 miliardi senza i quali la Commissione si dice pronta a far scattare la procedura d’infrazione.
Saranno certamente esposte nel dettaglio le ragioni dell’Italia. Verrà ripetuto che procedere ora con una manovra aggiuntiva avrebbe solo effetti deleteri sulla crescita e quindi controproducenti anche dal punto di vista della riduzione del debito. Verrà ripetuto anche, nonostante la bocciatura preventiva del commissario Moscovici, che le misure per fronteggiare l’ultimo terremoto devono assolutamente essere computate, il che dimezzerebbe o quasi la cifra richiesta. Soprattutto, l’Italia risponderà picche, salvo ripensamenti, alla pretesa di dire subito e con massima precisione quali misure l’Italia intende adottare. Se ne parlerà ad aprile, al momento di definire il Def, e va da sé che se a quel punto ci saranno di mezzo le elezioni tutto dovrà slittare ancora di qualche mese.

Ma le certezze finiscono qui, perché tra il concedere niente o pochissimo c’è una bella differenza, sul piano simbolico e su quello politico molto più che su quello economico, ed è questa la decisione che a poche ore dalla scadenza dell’ultimatum il governo di Roma e il burattinaio che dal Nazareno tira i fili ancora non l’hanno presa. Anche per questo hanno fatto slittare l’informativa di Padoan al Senato, destando le ire dell’opposizione: un dibattito prima dell’invio della lettera avrebbe avuto effetti ben diversi da quelli di una discussione parlamentare a cose fatte.

Matteo Renzi negli ultimi giorni ha assunto in prima persona la gestione della crisi. Vuole mollare il meno possibile per mettere a frutto elettorale il braccio di ferro con l’Europa. E’ stato lui a escludere tassativamente ogni possibile intervento doloroso, in particolare qualsiasi misura fiscale, prima fra tutte l’aumento dell’Iva. Lo spettro di una procedura d’infrazione non lo spaventa più che tanto: anche se l’Europa decidesse di farla partire sarebbe una storia lunga, ci vorrebbero mesi spesi a fare le pulci ai conti presentati dal governo italiano e il segretario del Pd conta di arrivare alle elezioni prima che quel lungo percorso arrivi a compimento, cioè prima che la procedura vera e propria scatti davvero.

Padoan, pur concordando nelle linee generali con l’ex premier, è più cauto. Anche solo l’annuncio di una procedura d’infrazione avrebbe immediate ricadute pesanti sulla «reputazione» dell’Italia, il che si tradurrebbe subito in un aumento di quello spread che ha già ricominciato a correre di per sé. Dunque pur in una lettera «anodina», come già la definiscono al Mef, a suo parere qualcosina di reale ci dovrebbe essere e non solo le tipiche voci che si mettono nero su bianco per non dire niente: lotta all’evasione fiscale, aumento delle entrate fiscali grazie a un ampliamento della volontary disclosure, risparmi sulle spese dei ministeri.
In ogni caso, la suspense riguarda ormai più la replica di Bruxelles che non la lettera spedita da Roma. La scommessa del governo è che l’Europa, in una situazione così delicata e tanto più dopo la durissima requisitoria dell’Fmi contro il metodo delle sanzioni, non arriverà davvero alla procedura d’infrazione per una cifra tutto sommato molto bassa come lo 0,2% richiesto dalla Commissione. Certo, anche senza procedura il precedente si farà sentire nei prossimi mesi, quando si dovrà trattare sul salvabanche, poi sullo scatto delle clausole di salvaguardia e infine al momento del varo della legge di bilancio.

Ma per Renzi, in questo momento, conta solo quel che succede prima delle elezioni che vuole assolutamente entro giugno. Conto che però potrebbe incidere anche sull’atteggiamento della Germania e quindi dell’Europa. Perché se c’è una cosa che Angela Merkel assolutamente non vuole è proprio uno scioglimento delle camere in Italia prima delle elezioni in Francia oppure tra il primo turno di quelle elezioni e il ballottaggio.