Dalle linee ondulate delle verdissime colline cinesi di Dazhangshan, nella contea di Wuyuan, con i suoi giardini del tè (nell’inquadratura fotografica sembrano ricamati a punto erba) parte un segno virtuale che interseca la coinvolgente installazione Art(tea)fact (Untitled, Construction I, II, III, IV, Cube, Petit pan de mur, Suspended Time) (2012-2016) degli artisti armeni Armén Rotch & Gilda RG con migliaia di bustine di tè consumate, collezionate e ricollocate nell’ambito di un progetto partecipativo dal forte impatto sensoriale. Un’opera che attribuisce spazio fisico alla presenza invisibile della memoria di chi ha bevuto quel tè di cui rimangono, appunto, le bustine. Una tappa del metaforico viaggio produttore/consumatore che nel contesto specifico delle Gallerie delle Prigioni di Treviso (spazio per l’arte contemporanea, in sinergia con la Fondazione Benetton Studi Ricerche, inaugurato nel 2018 dal restauro delle ex carceri asburgiche) è la mostra The Ground We Have in Common (fino al 1 settembre). Curata da Patrizia Boschiero e Nicolas Vamvouklis questa collettiva propone le opere di artisti tra cui Antonio Biasiucci, Petros Efstathiadis, Susan Hiller, Christiane Löhr, Cao Yuxi (James) come momento di riflessione che celebra la 30.ma edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, assegnato per il 2019 a I giardini del tè di Dazhangshan (Cina). Tra i progetti più originali della Fondazione Benetton, il premio consiste nella campagna di studio per l’assegnazione del riconoscimento al “giardino” cinese, esemplare per la “cura dei luoghi” di cui è stato realizzato il film documentario diretto da Davide Gambino in collaborazione con Gabriele Gismondi e la pubblicazione del libro che affronta vari aspetti dell’unicità delle colline di Dazhangshan che coniugano l’estetica all’utilità, con riferimento alla tradizione del paesaggio nella Cina antica, alla storia del té e al suo viaggio dall’oriente all’occidente e al valore patrimoniale nel contesto ecologico.

«Mi ha colpito l’ordinarietà di questo paesaggio agricolo costruito su idee di armonia e bellezza, gestito con criteri che vanno indietro nel tempo ma che si proiettano nel futuro», spiega Marco Tamaro, direttore della Fondazione Benetton Studi Ricerche, «una scommessa che si gioca in Cina dove oltre 250 famiglie di agricoltori coltivano le piante del tè secondo i principi dell’agricoltura biologica».

In questo territorio, dove da oltre mille anni ci si prende cura della Camellia sinensis (pianta del tè) su una superficie di circa 529 ettari (le tradizionali piantagioni si sviluppano in siepi parallele), non si usano pesticidi e fertilizzanti chimici. Il rispetto dell’equilibrio dell’ecosistema è la prima regola. Hong Peng, presidente dell’Associazione dei coltivatori di tè biologico di Dazhangshan e della Jiangxi Wuyuan Dazhangshan Organic Food Company, che ha ritirato il Premio Scarpa a Treviso sottolinea l’importanza di questa scelta coraggiosa che risale a vent’anni fa: «Oggi la Dazhangshan Organic Food Company è la più grande azienda che fornisce tè verde biologico al mondo e la prima impresa cinese ad ottenere la certificazione per il Commercio Equo e Solidale».
All’inizio degli anni 2000, proprio su iniziativa di Peng, è nata l’Associazione dei coltivatori di tè biologico di Dazhangshan con lo scopo di produrre reddito attraverso la sostenibilità, contribuendo a migliorare la qualità della vita dei coltivatori. In questa contea è ancora molto viva un’antica leggenda che sintetizza il rispetto che le genti di Wuyuan dedicano al tè. Parla di un’anziana donna il cui cognome era Fang che viveva in una capanna e ogni giorno offriva gratuitamente il tè ai viandanti. In seguito la gente cominciò a chiamarla Signora Fang. Quando per lei giunse il momento di lasciare la terra fu sepolta nella strada tortuosa dove si recava tutti i giorni, lungo l’antica strada Hui-Rao. Chi passava di lì ricordava con gratitudine l’anziana signora e posava una pietra sulla sua tomba che, in breve, divenne un’enorme tomba di pietra detta «il tumulo della signora Fang». Da allora, in suo ricordo, sulle strade di montagna di Wuyuan sono stati creati dei «chioschi del tè» dove si prepara il tè sia per gli abitanti del villaggio che per i viaggiatori di passaggio.