Si sta già levando un venticello di sfida, l’indignazione si diffonde di fronte ai primi passi di Macron in politica interna: c’è davvero bisogno di precipitarsi a riformare ancora il diritto del lavoro? Per ora l’unica cosa certa è il calendario a passo accelerato, le “ordinanze” in Consiglio dei ministri (leggi proposte dal governo) già il 28 giugno, poi una cinquantina di riunioni con le parti sociali e la riforma pronta a passare il 20 settembre. Ma le indiscrezioni, anche se la ministra del lavoro ha sporto denuncia, inquietano per la “flessibilità” a oltranza che si profila. Preoccupazione diffusa anche per il progetto di legge anti-terrorismo, che in vista dell’uscita dallo stato d’emergenza (in vigore dagli attentati del novembre 2015, prolungato sei volte) prevede di far rientrare nel diritto comune gran parte delle misure di eccezione: domiciliari preventivi, perquisizioni amministrative, chiusura di luoghi di culto sospetti, zone rosse ecc., anche se il Consiglio costituzionale ha appena censurato la disposizione dello stato d’emergenza che permette di interdire a una persona di partecipare alle manifestazioni di piazza (norma molto utilizzata durante la protesta contro la Loi Travail). I primi passi del governo di Edouard Philippe prestano il fianco anche al ridicolo, con il ministro della Giustizia, François Bayrou, che sbandiera la sua legge sulla “moralizzazione” della vita politica, mentre il suo partito – il MoDem – si sta impantanando in un’inchiesta su fondi versati dall’Europarlamento e utilizzati in Francia per il partito. Due ministre sono sfiorate, Marielle de Sarnez e Sylvie Goulard (all’origine c’è una denuncia per vendetta del Fronte nazionale, sotto accusa per lo stesso motivo).

Ma tutto questo non dovrebbe avere influenza sul voto di oggi, al primo turno delle legislative. I sondaggi si ripetono e danno in testa il partito di Macron, La République En Marche (Rem), un elettore su tre sembra sedotto dal “via tutti”. Rem, che potrebbe ottenere la maggioranza assoluta, prospera sul crollo dei partiti tradizionali, Lr (neo-gollisti) e soprattutto il Ps. Attira elettori da tutte le aree, urbane, periurbane, banlieues, zone rurali. E convince in tutte le classi sociali. Il Fronte nazionale (Fn) è in difficoltà a tradurre in seggi i voti di Marine Le Pen. Il sistema uninominale maggioritario a due turni è sfavorevole anche per France Insoumise (Fi). Nel Ps, che aveva la maggioranza (284 deputati), c’è chi teme persino di non riuscire ad avere un gruppo (15 deputati). Il 18 giugno, al secondo turno, potrebbe uscire un parlamento dominato da un solo partito, con un’opposizione debolissima, anche perché dei deputati Ps o Lr già sembrano pronti a sostenere il governo voluto da Macron. L’opposizione si manifesterà oggi soprattutto con l’astensione, che potrebbe battere dei record, superare il 40% e addirittura sfiorare il 50%.

Ci sono 7877 candidati per 577 seggi, una media di quasi 14 per circoscrizione. Moltissimi i volti nuovi, non solo a Rem, movimento nato soltanto un anno fa, ma anche nei partiti tradizionali, grazie alla legge ce proibisce ormai il cumulo dei mandati, locali e nazionali.

Marsiglia, scontro a sinistra

La quarta circoscrizione delle Bouches-du-Rhône, che ricopre il centro di Marsiglia e un quartiere popolare, è uno dei punti caldi delle legislative. Qui ha deciso di presentarsi Jean-Luc Mélenchon, contro il deputato uscente, il socialista Patrick Mennucci. I sondaggi danno Mélenchon vincente, ma un malessere si è diffuso: perché il leader di Fi non ha scelto una circoscrizione dove il Fn è forte? Nella regione c’è solo l’imbarazzo della scelta. Menucci accusa Mélenchon di essersi auto-paracadutato in una città che non è la sua, che non abita. Nel 2012, Mélenchon aveva sfidato Marine Le Pen a Henin-Beaumont, nel Nord-Pas de Calais, dall’altra parte della Francia (e entrambi avevano perso, a favore di un socialista). Mélenchon, che ha ottenuto il 19,6% dei voti alle presidenziali, dopo una campagna molto polemica, stando ai sondaggi avrebbe ridotto i consensi di Fi intorno all’11,5%. Fi si batte ora per avere almeno un gruppo parlamentare (15 deputati), un po’ poco per incarnare l’opposizione. Chi corre il rischio più grosso è il Pcf. Ha 10 deputati uscenti e potrebbe restare a secco. Fi ha rotto l’accordo, presentando quasi dappertutto dei candidati contro quelli del Pcf (ci sono state persino denunce, perché alcuni candidati comunisti avevano messo la foto di Mélenchon sul volantino elettorale, sulla base dell’accordo delle presidenziali). Al Pcf sono molto amari, secondo il portavoce Olivier Dartigolles, Mélenchon ha “sciupato” il risultato delle presidenziali, con una campagna piena di “tensioni”, con un atteggiamento “brutale” (ha accusato l’ex primo ministro socialista, Bernard Cazeneuve, di “essersi occupato dell’assassinio” dell’ecologista Rémy Fraisse nel 2014 a Sivens ed è stato denunciato per diffamazione). Anche Europa Ecologia rischia di perdere tutto (gli écolo nel 2012 erano partiti con 17 deputati, grazie all’accordo elettorale con il Ps, poi hanno finito la legislatura in 7, poiché molti sono andati via, verso il Ps o adesso a Rem). Fi rifiuta di essere sul banco degli accusati e accusa ex alleati e stampa di “demonizzazione feroce” di Mélenchon.

Parigi, scontro a destra

Nella seconda circoscrizione, che comprende parte di V, VI e VII arrondissement, tra i quartieri più chic della capitale, la destra ha sempre vinto. Il deputato uscente è il candidato sconfitto alle presidenziali, François Fillon, che aveva concesso il seggio d’oro, imperdibile, alla spumeggiante Nathalie Kosciusko-Morizet. Ma nel giro di qualche settimana il clima è cambiato, le rivalità e i tiri mancini sono esplosi a destra. La candidata Lr è sfidata da due altri esponenti di spicco del suo partito: Henri Guaino, sovranista ex “penna” di Sarkozy e Jean-Pierre Lecoq, sindaco del VI arrondissement. Entrambi criticano Kosciusko-Morizet, dicono che è “paracadutata”, che corteggia troppo Macron. In questa circoscrizione ci sono ben 24 candidati, quasi un record (c’è persino uno che si presenta con lo slogan “al cinema gratis”). Il risultato potrebbe cosi’ andare a favore del candidato Rem, Gilles Le Gendre, un quasi sconosciuto. Qui, Macron ha superato il 90% al ballottaggio contro Le Pen. Parigi è un terreno di battaglia privilegiato per Rem. Nella quinta circoscrizione, nel Marais (la deputata uscente è Ps), si presenta per esempio il portavoce di Rem, Benjamin Griveaux, sospettato dalla sindaca Ps Anne Hidalgo di volerle soffiare il posto alle municipali del 2020.

I ministri candidati alla prova del nove

È la legge di Macron: chi si presenta e non viene eletto, perde anche il posto di ministro. Sono in sei a giocarsi il tutto per tutto. Il più a rischio è Richard Ferrand, ex socialista pilastro di Rem fin dalla prima ora, ministro della Coesione territoriale. Ferrand, candidato nel Finistère (Bretagna), è al centro di un’inchiesta giudiziaria per conflitto di interessi pubblico-privati, che risalgono ai tempi in cui era presidente delle Mutuelles de Bretagne e aveva fatto guadagnare la sua compagna in un affare immobiliare. Gli altri, che provengano dal Ps, da Lr (come Bruno Le Maire, ministro dell’Economia) o siano Rem della prima ora (come Mounir Mahjoubi, sottosegretario al digitale) sono in buona posizione. Ben 7 candidati sconfitti alle presidenziali sono candidati: Marine Le Pen, Jean-Luc Mélenchon, Benoît Hamon, Nicolas Dupont-Aignan, Jean Lassalle, François Asselineau e Nathalie Artaud di Lutte ouvrière.

I casi Valls e Hamon

Duro crollo per l’ex primo ministro, che aveva persino ambizioni presidenziali, poi distrutte da Macron. Manuel Valls è candidato nell’Essonne, a Evry, nella periferia parigina, dove è stato a lungo sindaco. Si presenta da solo, senza partito, ma con l’etichetta “maggioranza presidenziale” che si è autoconcessa: non ha avuto la candidatura Ps, perché non ha sostenuto Hamon alla presidenziali, ma Rem non lo ha accolto, perché troppo ingombrante (ma né il Ps né Rem hanno messo candidati contro, anche se si presentano tre “dissidenti” En Marche). La principale sfidante di Valls è la candidata di Fi, l’ex Pcf Farida Amrani. Qui i candidati sono 22, c’è anche il controverso umorista Dieudonné e, come supplente di un altro, il cantante Francis Lalanne, che propone di “tirare a sorte” uno degli sfidanti, per “schiacciare” Valls.

In difficoltà è anche Benoît Hamon a Trappes, nelle Yvelines (periferia parigina). Deputato uscente, aveva fatto meglio qui che a livello nazionale al primo turno delle presidenziali (12,7% contro il 6,3%), ma era stato comunque superato da Macron, Mélenchon e Fillon. Trappes potrebbe tornare a destra: il candidato, Jean-Michel Fourgous, che Hamon aveva sconfitto nel 2012, spera nella vittoria e critica l’ex candidato Ps alle presidenziali, accusato di essere “favorevole al burqa”, di voler “legalizzare la cannabis” e di essere affetto da “una drammatica ignoranza economica”. Hamon ha già un programma per il dopo-legislative, comunque vadano: fondare un movimento per “una nuova sinistra, cittadina, intellettuale, sociale, ecologica e europea”.