In Italia ci sono quasi 3 milioni di anziani non autosuffcienti. Col progressivo ritrarsi della sanità pubblica ad occuparsi di loro sono per la stragrande maggioranza le famiglie – nel 64 per cento dei casi, secondo il Documento conclusivo dell’indagine sulla sostenibilità del Sistema sanitario nazionale appena votata all’unanimità dalla commissione sanità del senato.

I sindacati dei pensionati – Spi Cgil, Fnp Cisl, Uilp – in modo unitario ieri mattina hanno presentato una proposta per un piano nazionale sulla non autosufficienza. L’invito a discuterlo era rivolto a tutte le forze politiche: hanno risposto solo Leu e il Pd.

La proposta assai dettagliata parte dai dati e dalla situazione attuale. Ad oggi in pratica l’unico strumento in mano alle famiglie è l’indennità di accompagnamento (circa 515 euro al mese) sebbene i tre quarti dei beneficiari ha più di 65 anni. Per il resto la sanità pubblica eroga pochissimi servizi a questa fetta di popolazione in continua espansione. Secondo il VI rapporto del Network non autosufficienza (Nna) dal 2013 al 2015 la spesa pubblica per anziani non autosufficienti si è ridotta di 1,6 miliardi. Il Fondo nazionale per la non autosufficienza fu azzerato nel 2012 e ora è di 450 milioni, più 50 milioni messi a disposizione dalle Regioni. Ma proprio le Regioni gestiscono servizi e finanziamenti in modo molto diversi. In più la definizione dei nuovi Livelli essenziali di assistenza appena varati non hanno modificato per niente i servizi per la non autosufficienza.

La proposta di Spi, Fnp e Uil allora è quella di superare la frammentazione nei servizi tra Stato ed enti locali. Si propone che «il riconoscimento della condizione di non autosufficienza sia determinato con criteri uniformi in tutto il territorio nazionale; che siano individuati i Livelli essenziali delle prestazioni sociali per la non autosufficienza (Lesna); copertura integrale dei costi delle prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale per l’assistenza alle persone non autosufficienti gravissime; che il Fondo sanitario nazionale raggiunga un livello di finanziamento pubblico adeguato e che i Lesna siano a carico della fiscalità generale; sperimentazione e la promozione di forme di residenzialità innovative (oggi accolgono solo 386mila anziani, una goccia nel mare); che si riconosca la figura dei caregiver (al posto della badante) e che si proceda ad una riorganizzazione dell’indennità di accompagnamento inserendola nel Piano assistenziale individuale e mantenendone comunque il suo carattere universalistico e senza quindi collegarla alla prova dei mezzi».

«Il problema di fondo – ha spiegato il segretario generale dello Spi Cgil Ivan Pedretti – è che ormai si lega la salute solo al costo del servizi in un’idea completamente economicista che ha fatto breccia anche nelle Ausl a cui i comuni demandano i servizi. Si tratta di una logica politica scellerata che ha distrutto la sanità pubblica, specie al Sud. Dobbiamo ribaltare il paradigma rilanciando il diritto universalistico alla salute anche perché la risposta della sanità privata non è qualitativa. Rilanciando il sistema sanitario nazionale possiamo anche incrementare la quantità e la qualità dell’occupazione con personale più specializzato», ha concluso Pedretti.

A rispondere ai sindacati erano presenti solo Nerina Dirindin (Leu) che ha «condiviso in pieno la proposta proponendo «a tutti i partiti di metterla in atto nella prossima legislatura». Una proposta accolta con favore da Tommaso Nannicini (Pd) «per un sostegno forte e universale alla non autosufficienza».