Ho conosciuto Benedetto al tempo della Pantera, in quella breve e felice stagione in cui le Università italiane erano messe sottosopra da una straordinaria sommossa dei corpi e dei saperi. Di lì a poco ci siamo ritrovati alle riunioni di Luogo comune, una delle riviste che hanno avviato all’inizio degli anni Novanta il rinnovamento e lo sviluppo ulteriore dell’operaismo.

NEI TRENT’ANNI SUCCESSIVI ho condiviso tutto con Benedetto: DeriveApprodi, il G8 di Genova e il movimento globale, il lavoro sulle pagine culturali del Manifesto e i tanti tentativi di costruire progetti che combinassero produzione di conoscenza e militanza politica, da UniNomade a EuroNomade. E tanto altro ancora: soprattutto la passione per la ricerca e la tensione militante, il desiderio di essere interni ai movimenti, un certo modo di intendere il marxismo e la critica dello stato di cose presenti. Un certo modo di essere comunisti.

Fin dalla fine degli anni Novanta, Benedetto ha dedicato le sue energie intellettuali alla comprensione della rete e dei mondi digitali, a partire dalla precoce intuizione che in quei mondi si giocassero partite decisive per la trasformazione del capitalismo e dunque per la condizione del lavoro vivo.

Il capitalismo delle piattaforme, del 2017 (manifestolibri), dà conto degli esiti della sua riflessione su questi temi. Ma solo molto parzialmente: il suo formidabile lavoro di inchiesta è proceduto tumultuosamente fino agli ultimi giorni, attraverso interviste e recensioni di libri, mai scontate, sempre capaci di aprire nuovi orizzonti di ricerca.

È in fondo anche il modo in cui ha combattuto la malattia, sostenuto da una curiosità davvero fuori del comune e da una straordinaria passione politica.

Occorrerà mettere mano alla gran mole di articoli pubblicati da Benedetto, per restituire la complessità e il rigore del suo lavoro di cartografo del capitalismo contemporaneo e delle linee di conflitto e antagonismo che lo attraversano.

BENEDETTO ALZAVA DI RADO la voce. Era gentile anche quando invitava alla rivolta e all’insubordinazione. E aveva un’umanità straordinaria, che solo chi ha avuto il privilegio di essergli amico conosceva fino in fondo. È difficile accettare che non sia più con noi, che non leggeremo più i suoi articoli su il manifesto, che non potremo più contare su di lui per condividere imprese sovversive. Che non potremo più chiamarlo in un momento di difficoltà e di tristezza.

Solo, possiamo continuare a fare le cose che abbiamo fatto in questi anni insieme a lui per averlo in qualche modo ancora con noi, per provare a colmare il vuoto enorme che oggi avvertiamo.