Nicola Zingaretti stavolta non apre la direzione del Pd, la prima dopo la scissione di Renzi. Il segretario vuole dare un segno tangibile della fine dell’idea dell’uomo solo al comando. Non che voglia rinunciare alla scena. Anzi per metà ottobre prepara un grande evento internazionale, che cadrà forse proprio nei giorni della Leopolda degli scissionisti, dal 18 al 20 ottobre: circola voce di un possibile incontro con l’ex presidente Obama. Dal Pd però solo bocche cucite.

È ANDREA ORLANDO, vicesegretario ormai unico – la collega Paola Di Micheli è oggi ministra delle infrastrutture – a svolgere la relazione che prefigura il cambio di marcia del Pd postRenzi. Nessuno ha gioito per la scissione – il segretario lo ribadirà – ma è un fatto che il nuovo governo, dopo la crisi ferragostana, e la nuova linea del Pd (da «mai con i 5 stelle» all’esecutivo ’giallorosso’) ne ha risentito: «La costante minaccia della scissione, che poi è arrivata, ha impedito che si preparasse con un dibattito all’altezza un passaggio così importante», dice Orlando, «La crisi non nasce da un’intervista agostana. Il governo è potuto nascere perché in questi mesi abbiamo riposizionato il partito», «Senza distinzione fra M5S e Lega nulla di quello che stiamo tentando sarebbe possibile». È la linea di Zingaretti, quella che ha vinto il congresso di marzo. Ma spinta più avanti. Il ragionamento sulle alleanze non viene neanche abbozzato ma certo Orlando anticipa che «il proporzionale non è l’unico approdo».

A SOTTOLINEARE il passaggio cruciale anche per il partito ci sono rentrée simboliche come quella dell’ex presidente Pd Rosy Bindi che torna ad assistere ad una direzione e rivendica «di non essersi mai fidata di Renzi». Ma anche da chi parla dal palco del Centro Congressi Cavour di Roma si può valutare la solennità del passaggio. Paolo Gentiloni, neocommissario dell’Economia a Bruxelles: fin qui, da presidente del partito, non aveva mai preso la parola in direzione. Ora ringrazia Zingaretti per aver tenuto la barra in questo periodo «straordinario», l’aggettivo che diventa la parola chiave del pomeriggio. Ma ora bisogna interrogarsi «sulle ragioni di fondo del Pd», non per «superarlo», come hanno chiesto gli alleati di Art.1 nel week end appena concluso (Bersani, D’Alema, con una «fase costituente»). «Siamo a trent’anni dalla caduta del muro di Berlino che ha innescato il percorso che ha portato alla nascita prima dell’Ulivo e poi del Pd. La mescolanza tra diverse culture, l’affiorare di nuovi valori, quell’amalgama – con il senso di poi – si è dimostrato più resistente del previsto. Questo amalgama c’è», è la risposta alla famosa sentenza di D’Alema.

NON È DUNQUE L’ADDIO di Renzi il cuore della fase, ma il cambio di scenario. E di linea politica. Anche Lorenzo Guerini, neoministro della Difesa e ormai ex renziano, capo della corrente Base riformista, prende la parola. Altro fatto raro, per un uomo più propenso alla paziente costruzione che alle declamazioni: dopo aver definito la scissione di Renzi «un errore imperdonabile» guarda in avanti. «In un mese siamo passati dall’opposizione al governo», la fase è «straordinaria» – ripete anche lui – «Ritengo imprudente aprire un congresso straordinario ma occorre dare il senso che affrontiamo questa fase con strumenti straordinari. È una fase che oggettivamente cancella l’esito del congresso». Parole impegnative, seguite dall’auspicio di «uno sforzo corale di responsabilità, che superi anche la cristallizzazione post congressuale». È l’annuncio indiretto della disponibilità della minoranza a entrare in segreteria, ora che sono molti i posti lasciati vacanti da chi è andato al governo. E la disponibilità a condividere la svolta.

QUELLA CHE ZINGARETTI annuncia per novembre a Bologna: la «convenzione delle idee» lanciata a luglio per una tre giorni dall’8 al 10 novembre si trasforma nel «Manifesto per gli anni ’20 del nuovo secolo», titolo che riprende la suggestione del discorso del segretario alla festa nazionale di Ravenna.

COME RICORDA GENTILONI, forse non per caso, in quei giorni il calendario segna rosso per un pezzo del Pd, cioè per tutto il partito: il 12 novembre saranno trent’anni dalla svolta della Bolognina. E speriamo che stavolta sia la svolta buona. Dal Nazareno si fa sapere che lì verrà aggiornata la piattaforma politica – insomma, il programma del Pd – ma anche la carta dei valori.

E L’ORGANIZZAZIONE DEL PARTITO: ci si potrà iscrivere non solo con la tessera, ma anche tramite un’«app», un applicazione per i cellulari, aderendo «punti Pd» (cioè circoli e sezioni tematiche, fra gli altri ambiente, scienza, scuola, università). La direzione viene aggiornata: tanti iscritti a parlare, non cancellare gli interventi è un altro segno del nuovo corso. Ci sarà bisogno di un nuovo regolamento, l’aggiornamento dello statuto verrà poi – ma non è alle viste per ora un’assemblea nazionale. Martedì il segretario, ascoltati tutti, formalizzerà la sua proposta di svolta.