Di sicuro è la peggiore settimana della presidenza Trump, colpita dai guai giudiziari di due personaggi che sanno troppe cose su Donald Trump: Paul Manafort e Michael Cohen. Il primo è stato considerato colpevole di evasione fiscale da una giuria della Virginia.

Il secondo, per anni braccio destro di Trump in tutte le sue operazioni legali e illegali, si è dichiarato colpevole di vari reati federali e collabora con il procuratore speciale Robert Mueller.

Dei due, il più pericoloso è Michael Cohen, che non solo ha già dichiarato in tribunale di aver pagato in nero l’attrice porno Stormy Daniels per farla tacere sulla relazione avuta con Trump (violando quindi la legge sul finanziamento delle campagne elettorali) ma potrebbe portare alla luce tutti i segreti di famiglia e tutte le operazioni illegali del palazzinaro di New York, aprendo per lui una serie potenzialmente infinita di guai giudiziari.

Siamo entrati nella fase finale della presidenza Trump? Alla fine del suo mandato mancano ancora due anni e cinque mesi ma già molti sognano un epilogo simile a quello descritto da un video che gira da tempo in Rete: la scena iniziale si svolge in un vicolo malfamato, con un tizio che cerca di scappare inseguito da un gruppo di agenti dell’Fbi e, dopo pochi secondi, viene acciuffato. La scena si sposta su altri arresti, mentre un dirigente dell’Fbi osserva soddisfatto.

Il momento culminante del video (2’ e 10”) arriva quando un tizio ben vestito, con un ridicolo parrucchino, viene fatto uscire da quella che sembra la sede centrale dell’Fbi e portato via. Il pesce grosso che finisce in galera è, naturalmente, Donald Trump, mentre prima di lui cadono nella rete vari collaboratori e parenti.

Per chi non avesse capito che la satira si riferisce alle indagini sulla collusione fra Trump e i russi, la colonna sonora del video è From Russia With Love, dall’omonimo film di James Bond del 1963, e inoltre l’immagine finale è quella di una pubblicità degli anni ’60 modificata in “It’s Mueller time”, ovvero è tempo che Robert Mueller, il procuratore che indaga sulle interferenze di Putin nelle elezioni del 2016, mandi i suoi agenti ad arrestare tutta la banda che si è impadronita con la frode della Casa Bianca.

Questo riassunto non rende giustizia al video on line, piuttosto divertente, ma era necessario per capire il mondo di fantasia in cui i democratici americani vivono oggi, a due mesi e mezzo dalle elezioni di medio termine. L’idea che circola è quella di riconquistare il controllo della Camera, dove per il momento c’è una maggioranza repubblicana, e di avviare le procedure di impeachment, come consente la Costituzione.

Purtroppo la rimozione di un presidente attraverso l’impeachment è un processo politico che, in tutta la storia degli Stati Uniti dal 1787 ad oggi, non è mai arrivato a conclusione positiva. Alla Camera, le mozioni per destituire un presidente sono state approvate solo tre volte in 231 anni: contro Andrew Johnson nel 1868, contro Richard Nixon nel 1974 e contro Bill Clinton nel 1999. Nei casi di Johnson e Clinton il Senato, che funge da giuria, assolse il presidente.

È vero che nel 1974 Nixon si dimise piuttosto che affrontare il processo, ma non è affatto sicuro che, se avesse sfidato i suoi nemici, si sarebbe trovata la necessaria maggioranza dei due terzi, 67 senatori su 100, per destituirlo. Ancora più improbabile che una simile maggioranza esista domani, quando i democratici potrebbero addirittura perdere altri seggi dei 49 che oggi controllano al Senato.

Qualunque siano le conclusioni dell’inchiesta di Mueller sul ruolo della Russia nelle elezioni del 2016, la minoranza di americani che a suo tempo ha eletto Trump era perfettamente cosciente delle sue bizzarrie e probabilmente sospettava che molte delle sue imprese fossero di dubbia legalità, se non crimini veri e propri.

Lo avevano votato ugualmente perché Trump aveva saputo farsi interprete di frustrazioni e risentimenti di antica data: i suoi sostenitori erano e sono minoritari nel Paese ma gli sono incredibilmente fedeli, come dimostra il fatto che il suo gradimento nei sondaggi non si è mosso di un centimetro da quando è entrato in carica ad oggi. Era attorno al 40% il giorno in cui ha giurato ed è circa il 40% oggi, nonostante le sue promesse non siano state realizzate e nonostante l’immagine di confusione e incompetenza trasmessa dalla Casa Bianca in questi 19 mesi.