Non sappiamo se sia stato un miracolo, la scienza o che altro. Ma tutti e 13 i Cinghiali sono ora fuori dalla caverna». Così, dal proprio profilo Facebook, i sommozzatori dei Thai Navy Seals ieri coronavano ufficialmente il lieto fine di una vicenda che dall’inizio del mese ha tenuto col fiato sospeso l’intera comunità internazionale.

I 12 calciatori thailandesi – tra gli 11 e i 19 anni – e il loro allenatore 25enne il 23 giugno si erano addentrati nella grotta sacra di Tham Luang Non, nei pressi di Chiang Rai, Thailandia settentrionale. Colti di sorpresa dalle forti piogge stagionali che hanno inondato l’entrata della caverna, i 13 sono stati dati per dispersi fino al 2 luglio, quando due sommozzatori inglesi li hanno miracolosamente trovati in una camera interna della grotta salvata dall’inondazione.

Per otto giorni le operazioni di pianificazione e salvataggio sono andate in onda a ciclo continuo sui teleschermi e sui social network del pianeta, registrando gli sforzi che il team internazionale – composto da oltre un migliaio di persone tra tecnici, personale medico, sommozzatori e addetti alla sicurezza – ha intrapreso per trarre in salvo i 13 dispersi in una missione vicino all’impossibile: mettere a punto e realizzare un piano per trasportare i ragazzi, fiaccati da giorni di digiuno, fuori dalla caverna mediante una staffetta subacquea snodata lungo un percorso impervio fatto di cunicoli, strettoie fino a 40 centimetri di larghezza, inondate da acqua piovana parzialmente risucchiata da pompe idriche dispiegate ad hoc.

Da domenica fino a ieri, in tre fasi, i 12 bambini e l’allenatore sono stati tratti in salvo e presi in carico dalle autorità sanitarie locali, che li terranno sotto osservazione in quarantena per almeno una settimana, scongiurando il rischio di infezioni.

I Cinghiali, secondo i referti medici diffusi dall’ospedale di Chiang Rai, sono deboli ma stanno bene e in procinto di recuperare le forze perse in 18 giorni intrappolati nella caverna con poco ossigeno ed esposti a temperature rigide. La prognosi parla di almeno una settimana di ricovero ospedaliero: troppo per permettere ai Cinghiali di presenziare alla finale della Coppa del Mondo di domenica, invitati ufficialmente dalla Fifa.

La preghiera dei monaci buddhisti fuori dall’ospedale dove sono ricoverati i ragazzini (Foto: Afp)

La dimensione internazionale delle felicitazioni gravitate attorno alla mission accomplished dei soccorritori, che hanno incassato i complimenti di Elon Musk, Donald e Melania Trump e Theresa May tra gli altri, all’interno dei confini thailandesi si traduce in un’enorme vittoria d’immagine per la junta militare al potere a Bangkok dal 2014, abile nel sovrapporre alle operazioni di soccorso il ruolo di coordinatore e garante paternalista della macchina statale «temporaneamente» appaltata agli organi militari.

Il tutto ricorrendo a simboli e liturgie del potere proprie del buddhismo di Stato, approfittando degli aspetti più mistici e soprannaturali che una tragedia sfiorata di tale portata offriva alla macchina dello story-telling globale.

Edoardo Siani, antropologo presso la Kyoto University ed esperto dei legami tra credenze mistiche e religiosi e l’esercizio del potere in Thailandia, in un brillante articolo pubblicato su The New Mandala parla addirittura di buddhification delle operazioni di soccorso.

Dove il Buddha – o meglio, l’uso che ne viene fatto dalla junta militare in termini di legittimazione istituzionale – rappresenta il primato della religione ufficiale del Potere sulle credenze popolari della periferia rurale thailandese.

La grotta di Tham Luang Non, secondo la tradizione popolare, è abitata dallo spirito di una principessa dell’antico regno di Chiang Rang.

Spiega Siani: «Il mito racconta che la principessa, rimasta incinta di un uomo comune del regno, cercò rifugio nella grotta per scappare dall’ira di suo padre, il re, che osteggiava la relazione. Il suo piano era nascondersi nelle viscere della terra in attesa che il suo amante la raggiungesse con del cibo, ma l’uomo fu ucciso dalle guardie del re. Dopo giorni di attesa, la principessa si accoltellò a morte. Il suo sangue diventò il fiume Mae Nam Mae Sai, e il suo corpo riverso la montagna Doi Nang Non. Il suo spirito, il guardiano della caverna».

Secondo Siani «il mito tramanda l’elemento della resistenza alla cultura elitaria e alla violenza esercitata dal regno, con cui si assicura la propria sopravvivenza. La “violenza sovrana”, nella storia thai, è coincisa con i processi di centralizzazione, che hanno sussunto i localismi nell’egemonia politica, economica e culturale di Bangkok».

Allo stesso tempo riafferma il potere locale, rappresentato dallo spirito della principessa che chiunque si avventuri nella caverna deve adorare per evitare guai, anche i potenti di Bangkok.

In questo quadro, la buddhification delle operazioni di soccorso, con l’esaltazione dell’altruismo dei soccorritori, l’invito ai monaci buddhisti a pregare all’interno della caverna e la richiesta del reggente del governo centrale, il generale Prayuth, della benedizione del Patriarca Supremo della Sangha (la comunità buddhista) in spregio alle credenze locali declassate a «superstizioni», con l’auspicato lieto fine segnano contestualmente la celebrazione del potere centrale sulle periferie insubordinate.

Un aspetto che di certo giova all’immagine della junta militare che dal 2014 nega elezioni democratiche al paese ma che, a Buddha piacendo, ha salvato i 13 dispersi dallo spirito irredento e insubordinato della principessa di Chiang Rai.