Un addio per Mario Dalmaviva
Mario Dalmaviva davanti ai cancelli della Fiat (1972) – Tano D’Amico
Cultura

Un addio per Mario Dalmaviva

Lutto La memoria resta «Viva», un abbraccio e un addio da tutto il collettivo de il manifesto
Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 21 luglio 2016

Una brutta e triste notizia: è morto Mario Dalmaviva. Dopo una lunga malattia se n’è andato. Diciamo subito che è stata una persona alla quale questo giornale ha davvero voluto molto bene. Mario Dalmaviva era stato militante di Potere Operaio e pubblicitario, venne coinvolto nell’inchiesta del 7 Aprile 1979 su Autonomia Operaia e subì un lungo periodo di detenzione preventiva prima di essere condannato ad una pena di sette anni, poi ridotta a quattro (già scontati). Fu quello della battaglia contro il teorema del magistrato Calogero, un impegno costante del quotidiano comunista
il manifesto e dell’iniziativa di Rossana Rossanda.

Dal carcere di Torino l’autore cominciò a inviarci una serie di vignette fatte, com’è facile immaginare, in scarsità di mezzi e spazi, facendo così di necessità virtù. Tutte avevano come unico protagonista la porta sbarrata di una cella: era un infinito, ma recluso. Da lì uscivano delle nuvole pensierose che ponevano domande sui contenuti della nostra residua libertà. La cella come espediente narrativo, dando così la misura dell’angoscia e della claustrofobia della detenzione carceraria ma in una forma e misura grafica. Quelle furono, se non sbaglio, le prime vignette uscite sul manifesto. Ed ebbero subito un grande successo, anche perché fortemente segnate dalla volontà di restituire nel segno e nello spazio breve del fumetto dentro la nuvola, nel modo della satira, tutta la pesantezza del tempo, quello della fine degli anni Settanta e dell’inizio incerto e oscuro, appena abbozzato, degli anni Ottanta.

Un fatto era certo: Mario Dalmaviva, non voleva comunque rinunciare ad esprimersi ironicamente. E utilizzava ogni vignetta, ogni balloon, come lima per segare le sbarre delle prigioni, concrete e mentali di una intera generazione. Sempre siglando «Viva», radice ultima del suo cognome e nuova firma, un timbro di testimonianza lucida e serena. Alla moglie e a tutti quelli che gli hanno voluto bene, a cominciare dal «fratello» Alberto Magnaghi, un abbraccio e un addio da tutto il collettivo de il manifesto.

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