Il Parlamento europeo ha cancellato il voto sull’accordo per la Brexit, che avrebbe dovuto aver luogo questa settimana in seduta plenaria a Strasburgo. Ma «in attesa della ratifica da parte della Gran Bretagna», l’Europarlamento si tiene pronto a votare, ha precisato ieri Guy Verhofstadt: la prossima settimana i deputati sono a Bruxelles e possono essere facilmente chiamati a esprimersi. La Ue non può far altro che aspettare che da Londra arrivi una decisione. Intanto, i testi legali dell’accordo raggiunto la scorsa settimana con la Gran Bretagna sono stati trasmessi ieri all’Europarlamento.

La Ue è pronta a ogni eventualità: se Westminster respingesse l’accordo, allora non ci sarebbe il voto all’Europarlamento ma molto probabilmente la convocazione di un Consiglio straordinario, nel fine settimana, per decidere cosa fare di fronte a un nuovo rifiuto. Intanto, dietro la calma olimpica delle istituzioni europee, gli stati membri cominciano a mostrare nervosismo. La Francia ha insistito ieri sul fatto che «rimandare la Brexit non è nell’interesse di nessuno». Per la ministra degli Affari europei, Amélie de Montchalin, «adesso dobbiamo andare avanti, smettiamo di credere che l’interesse collettivo sia di fermare tutto per sei mesi e che andrà meglio più tardi». Voci più possibiliste, invece, dalla Germania: «Discuteremo un’estensione» affermano nel governo Merkel. La Francia è disposta a concedere un allungamento «tecnico», di qualche settimana per ottemperare all’emendamento Letwin, votato sabato a Westminster, ma non di più.

La Ue ha ricevuto ieri altre due lettere dalla Gran Bretagna, dai primi ministri di Scozia e Galles, che chiedono a Bruxelles «una estensione» dell’articolo 50. «E noi l’abbiamo firmata», sottolineano a Edimburgo e a Cardiff. A differenza della prima lettera inviata da Boris Johnson al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, sabato notte, una fotocopia della richiesta formale di un’estensione dell’articolo 50, senza la firma del primo ministro e senza intestazione del governo («gesto poco gentile» a detta dei parlamentari britannici). Johnson ha poi inviato subito un’altra lettera, più gentile, sempre a Tusk, per spiegare che la prima missiva era stata spedita solo per formalità burocratica, ma che in realtà il governo britannico non vuole nessuna estensione dell’articolo 50. Come se non bastasse, l’ambasciatore britannico a Bruxelles, Tim Barrow, ha inviato una terza lettera, per precisare che la legislazione per inscrivere il Withdrawal Agreement Bill, l’accordo di divorzio, sarà introdotta nella legge britannica la prossima settimana, in tempo per rispettare la scadenza del 31 ottobre, per una soft Brexit. La Ue non si scompone e considera la prima lettera di Johnson – quella senza firma – come legale, perché fa riferimento alla legislazione. Così, domenica c’è stata una riunione degli ambasciatori dei 27, con il negoziatore Ue Michel Barnier, durata solo un quarto d’ora, che ha preso atto della situazione. La Commissione afferma che lo scenario su cui lavorano è un’uscita ordinata il 31 ottobre ed esclude la spaccatura di un no deal.

Ma la situazione resta confusa. Il testo del Withdrawal Agreement Bill riserva delle sorprese. Come il fatto che ci sarà una dogana nel Mar d’Irlanda, tra l’Irlanda del Nord e il resto della Gran Bretagna, anche per le merci destinate solo a Belfast: è la frattura della continuità territoriale britannica che il Dup (partito unionista nord-irlandese) rifiuta categoricamente.

Il caos della Brexit aggrava ancora la confusione che già regna a Bruxelles per l’avvio molto difficile della nuova Commissione. Il voto dell’Europarlamento per la Commissione di Ursula von der Leyen sulla carta era previsto oggi. Ma anche questo è stato annullato, perché mancano ancora tre commissari (Ungheria, Romania e Francia), che devono essere proposti, passare il vaglio del conflitto di interessi e l’audizione di fronte alle commissioni del parlamento relative ai rispettivi portafogli.