Sulla carta, i documenti per il divorzio tra la Gran Bretagna e la Ue sono pronti. C’è il testo del progetto del Trattato internazionale, 585 pagine, corredato di tre protocolli, su Irlanda, Cipro e Gibilterra e di vari annessi. È anche pronta la bozza della «Dichiarazione politica», che riguarda la «relazione futura» tra Londra e Bruxelles, che i 27 dovranno approvare nel vertice straordinario di domenica prossima. Il testo di 26 pagine, che non ha un valore giuridico, resta nel vago, parla di «open and fair competition» per l’accesso al mercato unico da parte britannica, evoca la possibilità di «esplorare le possibilità di cooperazione» in molteplici settori, dallo spazio alla partecipazione a diverse agenzie Ue, non cita il problema di Gibilterra, che resta da definire meglio entro domenica 25 novembre.

RIMANE APERTA ancora una controversia sulla pesca: Francia, Olanda, Danimarca, Spagna e Portogallo si aspettano delle precisazioni. C’è l’impegno ad aprire un negoziato sul commercio, appena il divorzio sarà operativo, a mezzanotte (britannica) e alle 23 (di Bruxelles) del 29 marzo 2019. Nel testo si promettono inoltre conferenze di alto livello tra i due partner ogni sei mesi e summit regolari Ue-Gran Bretagna. E l’impegno di arrivare a un accordo sulla relazione futura sei mesi prima della scadenza dei 21 mesi del «periodo di transizione», che dovrebbe concludersi il 31 dicembre 2020 (ma potrà essere prolungato una volta, su richiesta britannica, per un periodo da definire).

Il divorzio è pronto, sulla carta. I 27 dovrebbero approvare i testi domenica, sempre che vengano chiarite le frizioni che restano su Gibilterra e la pesca (Theresa May sarà a Bruxelles sabato). Ma l’accordo di divorzio deve poi passare due esami: un voto al Parlamento europeo, ostacolo meno difficile, ma soprattutto il voto alla Camera dei Comuni britannica. Le discussioni agitate di ieri, quando May ha presentato il risultato dei negoziati con Bruxelles, lasciano aperta la porta a tutte le ipotesi. L’accordo di divorzio potrebbe saltare, per volontà britannica e aprire un nuovo periodo di forte incertezza e il rischio di hard Brexit.

Ma oggi, sulla carta, l’accordo è pronto. La Gran Bretagna esce dalla Ue il 29 marzo 2019 e dal 30 sarà un paese terzo, senza più diritto di voto, né commissario, né parlamentari al prossimo Parlamento europeo. E pagherà il dovuto, malgrado le promesse dei brexiters («non daremo un euro» e i soldi risparmiati «andranno al National Health Service»): sono 45 miliardi di euro, e in più saranno onorati tutti gli impegni presi finora, anche per quello che riguarda stipendi e pensioni dei funzionari britannici a Bruxelles (Londra potrebbe essere costretta a pagare fino al 2060).

UNO DEI PROTOCOLLI riguarda la delicata situazione irlandese: un backstop sarà attivato alla fine del periodo di transizione, se nessun accordo definitivo sarà stato raggiunto, per evitare che venga istituita una frontiera terrestre tra le due Irlande (Dublino e Irlanda del Nord) e rispettare gli accordi del ’98 che avevano messo fine alla guerra civile. La Gran Bretagna resterà nell’Unione doganale (sul modello della Turchia), cioè si impegna a applicare verso i paesi terzi le stesse tariffe doganali decise dalla Ue. Ci saranno però controlli sanitari e fitosanitari sui prodotti commerciati, anche se l’Irlanda del Nord conserverà uno statuto ibrido e resterà nel mercato unico almeno per le merci. Verrà stabilito un accordo con la Ue sul modello del Ceta con il Canada, per quanto riguarda le merci. Sui servizi, invece, dovranno essere trovati dei sistemi di «equivalenze», ma il testo dell’accordo fa perdere a Londra il «passaporto finanziario» alla fine del periodo di transizione. Con la «clausola di non regressione», la Ue si garantisce che Londra non faccia dumping – sociale, fiscale, ambientale – e quindi una concorrenza sleale.

Non c’è nessuna intesa per far rimanere la Gran Bretagna nelle varie Agenzie europee (il paese ha perso la sede dell’Agenzia europea delle medicine e dell’Autorità bancaria): verranno «esplorate le possibilità di cooperazione», ma Londra è preoccupata per la partecipazione al progetto Galileo e a Euratom, mentre May ha evocato una «partnership speciale» per la difesa e la sicurezza.